Fenu (M5s) a Fanpage.it: “La riforma fiscale del governo Meloni è caotica e premia i grandi evasori”
“È una riforma caotica e senza equilibrio, in cui c’è tutto e il contrario di tutto”. Emiliano Fenu, deputato del Movimento 5 stelle e componente della commissione Finanze alla Camera, in un’intervista a Fanpage.it ha evidenziato i limiti della riforma fiscale che il governo Meloni ha approvato la scorsa settimana. Dall’Irpef (l’imposta sul reddito) al mancato intervento per tassare l’economia digitale, fino ai favori ai grandi evasori.
Si tratta di una legge delega, quindi i dettagli saranno definiti prossimamente con dei decreti. Perché dice che la riforma non ha equilibrio?
Il primo punto fondamentale è che c’è scritto, nel testo, che la riforma non deve comportare maggiori oneri per lo Stato. Quindi, per quanto il governo abbia parlato di diminuire la pressione fiscale, le entrate per le casse pubbliche devono aumentare, o comunque non diminuire. È come se da due studenti, in affitto in un appartamento, arrivasse il padrone di casa e dicesse: “L’affitto è di 500 euro, ma io ve lo voglio ridurre. L’importante è che continuiate a darmi 500 euro”. Evidentemente ci sarà qualcuno che ci perde e qualcuno che ci guadagna.
Chi ci perde e chi ci guadagna?
Se la tendenza è andare verso la flat tax, è chiaro chi. Ci perderanno quelli che hanno un reddito più basso, o perché aumenteranno le tasse per loro, o perché diminuiranno le spese sociali, come la sanità e la scuola.
La flat tax è l’obiettivo finale del governo, che nel frattempo vorrebbe passare a tre aliquote Irpef invece di quattro. Perché sarebbe svantaggiato chi ha un reddito basso?
È importante mantenere il principio di progressività dell’imposta. Una flat tax significa che l’operaio o l’impiegato che prendono 1.500 euro al mese pagano la stessa aliquota del manager che ne prende 30mila. In più si riduce il gettito dell’Irpef, e questo crea un problema di sostenibilità del sistema fiscale e anche della spesa sociale.
In che senso, un problema di sostenibilità?
Il nostro sistema fiscale è fondato soprattutto su lavoratori e pensionati che pagano l’Irpef, e se accelera la cosiddetta fuga dall’Irpef – perché ci sono troppe imposizioni sostitutive, oppure per evasione, elusione ed erosione fiscale – allora c’è un problema di sostenibilità. Cioè, mancano i soldi per pagare le misure di welfare, come la scuola o la sanità, appunto. Anche l’ultima legge di bilancio ha confermato tagli alla sanità: pensiamo come potrebbero cambiare le cose se diminuissero ancora di più le entrate per lo Stato. Non a caso, in molti Paesi in cui c’è la flat tax la spesa sociale è molto bassa.
Il governo ha detto che per pagare la riforma fiscale non intende tagliare i servizi, ma ridurre le ‘tax expenditures’ o spese fiscali, cioè le varie detrazioni, deduzioni…
Sono d’accordo nel razionalizzare le spese fiscali. Ma come si fa a dire che si vuole ridurre detrazioni e deduzioni, e allo stesso tempo dire che si vuole garantire che la flat tax sia progressiva proprio grazie alle detrazioni e deduzioni? Il governo sostiene che, anche con una flat tax, chi ha un reddito più basso pagherebbe di meno perché avrebbe più esenzioni. Quindi, da una parte dici che vuoi semplificare, dall’altra devi complicare ancora di più il sistema per garantire la progressività.
Quale sarebbe secondo voi, invece, il modo giusto per semplificare il sistema fiscale?
Lo strumento che proponiamo è quello che sui giornali è stato chiamato cashback fiscale. Semplicemente, quando io faccio una spesa che è detraibile dalle tasse, questa mi viene rimborsata immediatamente invece di aspettare la dichiarazione dei redditi, dover andare dal commercialista con gli scontrini… Grazie ai pagamenti elettronici e alle tecnologie che abbiamo a disposizione, se io vado dal medico e poi pago con bancomat o carta, il 19% può essere immediatamente rimborsato sul mio conto. È una misura che semplificherebbe molto, e in più permetterebbe allo Stato di sapere in tempo reale quanto spende per le spese fiscali. Ma il governo l’ha abbandonata.
Una delle proposte nella legge delega è anche il cosiddetto ‘quoziente familiare’, cioè tenere conto della composizione della famiglia per calcolare quanta Irpef bisogna pagare.
È un tema su cui siamo disponibili a ragionare, l’obiettivo di dare sostegno alle famiglie è condivisibile. Ma anche in questo caso c’è una contraddizione. Il sostegno alle famiglie c’è già: passa dalle deduzioni e detrazioni fiscali. Quindi, tu governo mi dici che vuoi tagliare queste deduzioni e detrazioni, ma così facendo vai a togliere dei sostegni a quelle stesse famiglie che affermi di voler aiutare. Invece, andrebbe seguita la linea del cashback fiscale, il rimborso immediato, per andare incontro alle necessità delle famiglie.
Per le aziende, che pagano l’Ires, è prevista un’aliquota più bassa se investono o assumono. Può funzionare per aumentare l'occupazione?
Ecco, si dice di voler tendere verso una flat tax, e poi proprio dove l’aliquota unica già esiste (cioè nell’Ires, che è per tutte le aziende al 24%, ndr) si vuole rendere più complesso il sistema. Comunque, sugli investimenti è una proposta che potrebbe essere utile, ma le misure per agevolarli già c’erano. Penso a transizione 4.0 e all’utilizzo dei crediti fiscali, che invece il governo sta ridimensionando. Per quanto riguarda le assunzioni, queste si incentivano riducendo il cuneo fiscale, cosa che la riforma non prevede. Nel campo delle aziende, sono due le grosse mancanze di questa legge.
Quali?
La prima riguarda gli extraprofitti: penso alle entrate inaspettate delle aziende farmaceutiche nel periodo pandemico, o del sistema bancario più di recente. Manca il coraggio di intercettare queste entrate. La seconda mancanza è l’esclusione di un settore che genera profitti importanti, e che il nostro sistema fiscale non riesce a scalfire perché è vecchio di cinquant’anni: l’economia digitale.
L’Italia dovrebbe tassare di più le grandi aziende digitali?
L’economia digitale ha diversi aspetti da considerare, che generano ricchezza e non sono considerati dal nostro sistema fiscale. Ad esempio, di recente un’inchiesta della Procura europea ha stabilito un principio importante. Noi cittadini cediamo dei dati alle piattaforme, e in cambio riceviamo i servizi delle applicazioni. I dati hanno un valore, e quindi c’è una transazione su cui si può chiedere di pagare l’Iva alle aziende. In più, il valore dei dati che noi utenti cediamo corrisponde ai servizi che riceviamo? E se i dati hanno un valore più alto, dovremmo ricevere – individualmente o collettivamente – un rimborso? Questi ragionamenti mancano.
Non è un tema ancora troppo inesplorato per chiedere al governo di inserirlo in questa riforma fiscale?
È un sistema in evoluzione, sì, e non siamo pronti a scrivere delle norme precise. Ma non possiamo neanche aspettare che i vari organi internazionali si mettano d’accordo su questo: il rischio è che le tasse concordate siano del tutto inadeguate davanti a nuove modalità di accesso e fruizione della rete. Quindi, dobbiamo trovare un modo di agire subito.
Cosa dovrebbe fare il governo Meloni, quindi?
Noi proponiamo di creare un tavolo tecnico permanente al ministero delle Finanze, non solo con economisti ma anche con ingegneri informatici. Mappiamo i dati che cediamo: quanti ne diamo, come vengono utilizzati… E poi possiamo ragionare su nuove iniziative. Nella nuova economia non possiamo prescindere dai dati. Solo così si farebbe una proposta di riforma fiscale davvero moderna.
L’ultima parte della legge delega è dedicata alla lotta all’evasione.
Sì, e qui la sensazione è che si vogliano premiare i grandi evasori.
In che modo?
Per loro si intravedono regali e depenalizzazioni, e si parla di un concordato biennale (le aziende concordano con il Fisco quanto pagare per un periodo di due anni e in cambio evitano i controlli, ndr) a cui difficilmente le piccole partite Iva potranno accedere, perché ci sono dei paletti stringenti. Lo aveva già fatto Tremonti quando era ministro, e non aveva avuto successo perché lo fa solo chi è talmente grande e strutturato da poterlo fare. Per i piccoli contribuenti invece restano molti obblighi ormai inutili.
Ad esempio?
Per loro, che sono quelli con maggiori difficoltà a seguire tutte le procedure, si intende conservare ad esempio i modelli Isa, i nuovi studi di settore. Cioè, un piccolo barista deve ancora compilare una tabellina per indicare i chili di caffè che ha comprato, quando si potrebbe benissimo acquisire questo dato con la fatturazione elettronica. E si crea una discriminazione, perché a commercianti e artigiani faccio completare queste procedure mentre non chiedo niente alle big tech e alle imprese digitali. Il punto è che l’evasione non si combatte così.
Non si combatte con la collaborazione tra Stato e contribuenti?
Anch’io penso che servano prevenzione e collaborazione, ma soprattutto bisogna promuovere i pagamenti tracciabili, digitali, ridurre l’uso del contante. In più, come beffa finale, in questa legge delega mentre si propone di migliorare il rapporto tra Stato e contribuenti si prevede anche di far pagare gli interpelli inviati all'Agenzia delle Entrate. Cioè, se tu vuoi chiedere un parere interpretativo sulla normativa fiscale, che è impossibile anche per gli addetti ai lavori e che diventerà ancora più complicata con questa riforma, lo Stato lo disincentiva facendoli pagare.