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Fecondazione assistita: la selezione degli embrioni non è sempre reato

La Corte costituzionale ha stabilito che la selezione degli embrioni non è reato nei casi in cui “questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili”.
A cura di Claudia Torrisi
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La Corte costituzionale è tornata sulla legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. Con una sentenza – la numero 229 – depositata mercoledì, la Consulta ha stabilito l'illegittimità della legge nella parte in cui si contempla il divieto di "selezione degli embrioni" anche nei casi in cui "questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità" stabiliti con la legge 194 del 1978 sull’aborto e "accertate da apposite strutture pubbliche".

Il tribunale di Napoli aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale sull'articolo 13 della legge (commi 3 lettera b e 4). La lettera b del comma 3 prevede in particolare il divieto di

ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo.

Al comma 4, invece sono previste le sanzioni: la violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena è aumentata. Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste dal comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste.

Con la sentenza 229, la selezione cessa di essere un reato, se finalizzata a evitare che vengano impiantati embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, sulla scia di quelle previste dalla legge sull'aborto. La decisione depositata mercoledì si lega a un'altra sentenza, emessa dalla Corte lo scorso giugno. In quel caso, veniva bocciata la legge 40 nella parte in cui non consentiva alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche il ricorso alla procreazione medicalmente assistita per il fine esclusivo della "previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro". Con quella pronuncia, la Corte costituzionale aveva confermato

la gerarchia dei diritti fondamentali della persona che vede al vertice la tutela del diritto alla salute della donna (e della coppia), il diritto di procreare e costituire una famiglia come scelta privata che non ammette ingerenze del legislatore e viene censurata l'irragionevolezza e l'illogicità della previsione che non consentiva a queste coppie di accedere alla PMA e alla PGD salvo poi riconoscere il diritto, alle medesime condizioni, di ricorrere alle comuni diagnosi pre-natali (amniocentesi) e all'aborto.

Nella sentenza 229, i giudici hanno quindi scritto che "quanto è divenuto così illecito", per effetto della pronuncia di giugno "non può per il principio di non contraddizione essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante".

Resta, invece, il divieto di soppressione di embrioni (altra questione sollevata dal tribunale di Napoli). Per la Consulta, "la discrezionalità legislativa circa l'individuazione delle condotte penalmente punibili può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza". I giudici escludono "che risulti per tali profili censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la condotta di soppressione di embrioni, ove pur riferita agli embrioni che, in esito a diagnosi di preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica". La malformazione, infatti, "non ne giustifica, solo per questo un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto". L'embrione, per i giudici, "non è mero materiale biologico", e resta, quindi, l'esigenza di "tutelare la dignità, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione". Il divieto di soppressione dell'embrione malformato, però, "non comporta l'impianto coattivo nell'utero della gestante".

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