Fca non deve restituire 30 milioni di aiuti di Stato ricevuti dal Lussemburgo: la sentenza Ue
Una sentenza definitiva della Corte di giustizia europea lo certifica: Stellantis (ex Fiat) non dovrà restituire i circa 30 milioni di euro di tasse che il Lussemburgo gli ha lasciato tenere dal 2012 al 2015. "Una grave sconfitta per l'equità fiscale", la definisce la commissaria dell'Unione europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager.
La vicenda inizia nel 2012, quando il Lussemburgo raggiunge un accordo con Stellantis, allora chiamata Fiat Chrysler-Fca. Il capo del governo lussemburghese è Jean Claude Juncker, futuro presidente della Commissione europea. L'accordo è una cosiddetta decisione fiscale anticipata: dal 2012 in poi, Fiat Chrysler Finance Europe, la società che gestisce i conti dell'azienda, avrà la possibilità di dichiarare in anticipo il suo utile imponibile, ovvero i suoi ricavi di quell'anno. Quindi si deciderà in anticipo – e soprattutto, a prescindere dagli incassi effettivi registrati a fine anno – quante tasse dovrà versare al Gran ducato del Lussemburgo.
Secondo le stime della Commissione europea, questo accordo fa risparmiare a Stellantis circa 30 milioni di euro, rispetto a quanto la società avrebbe dovuto versare negli anni. Nel 2015, così, la Direzione generale concorrenza della Commissione dichiara che quello che il Lussemburgo sta facendo è fornire un aiuto di Stato illegale, perché viola la concorrenza tra Stati membri. Al governo del Lussemburgo, quindi, viene chiesto di recuperare la cifra mancante.
Non si tratta di un caso isolato: la possibilità di un accordo simile è prevista dalla legge del Lussemburgo, e l'inchiesta Lux Leaks del 2014 mostra che durante il governo di Juncker il paese ha sottoscritto 343 accordi di questo tipo con varie aziende multinazionali. Quando la Commissione annuncia la sua decisione, a fare ricorso sono sia Fiat Chrysler sia il Lussemburgo. In primo grado, nel 2019, il tribunale europeo concorda con l'Antitrust: il metodo di calcolo delle tasse aveva "ridotto al minimo la remunerazione" che Stellantis incassava ogni anno, e quindi anche le imposte da pagare.
In secondo grado, però, le cose vanno diversamente. La sentenza definitiva arrivata ieri ribalta quella del primo grado e stabilisce che quello del Lussemburgo non è stato un aiuto illecito. L'errore della Commissione e del tribunale, spiega la motivazione della sentenza, è non aver dato il giusto peso al fatto che in fatto di tasse, a parte alcune eccezioni specifiche, contano le leggi dei singoli Stati. "Il diritto nazionale applicabile nello Stato membro interessato deve essere preso in considerazione", si legge, "per individuare il termine di paragone delle analisi sulla corretta imposizione fiscale".
Stellantis, quindi, non dovrà restituire i soldi perché la decisione su quante tasse far pagare a un'azienda spetta a ciascun Paese. La decisione della Corte di giustizia segna un passo indietro per le politiche dell'Unione europea in materia di antitrust e concorrenza, che durante il mandato della commissaria Vestager sono state particolarmente severe nei confronti delle multinazionali.
Non è la prima volta che succede. A maggio 2021 una sentenza in primo grado, ancora riguardante il Lussemburgo, ha risolto una controversia da 250 milioni di euro a favore di Amazon. Nel 2019 una sentenza simile a quella di ieri ha stabilito che Starbucks non dovesse restituire 30 milioni di euro ai Paesi Bassi. Le prossime sentenze che arriveranno saranno quella di appello sul caso Amazon-Lussemburgo, appunto, e quella su un accordo tra Irlanda e Apple che sarebbe valso ben 13 miliardi di euro. Secondo Vestager, comunque, il lavoro svolto negli ultimi anni dall'Antitrust sta portando risultati che "vanno al di là delle singole decisioni sugli aiuti di Stato, con alcuni Paesi che hanno modificato la loro legislazione fiscale".