Le giravolte di Meloni sulla extraprofitti, l’unica tassa dalla quale lo Stato non incasserà un euro
Nel corso della conferenza stampa per fare il bilancio sul primo anno di attività del governo, Giorgia Meloni ha per la prima volta provato a spiegare quello che è stato forse il più clamoroso dietrofront della maggioranza, nel corso del 2023. Parliamo della tassa sugli extraprofitti delle banche, annunciata a sorpresa in piena estate e rivendicata come sua idea proprio dalla premier. Peccato che, poco più di un mese dopo il varo della norma, lo stesso governo ha deciso di modificarne in maniera radicale il contenuto, introducendo un'opzione che permette agli istituti bancari di non pagare l'imposta e di tenersi in pancia i soldi dovuti. Risultato: come prevedibile, tutti le maggiori banche hanno già annunciato che useranno questa scappatoia. E così l'incasso per lo Stato sarà uguale o vicino a zero.
Prima di arrivare alla spiegazione offerta da Meloni per giustificare la retromarcia, dobbiamo fare una piccola cronistoria della vicenda. Come accennato, la tassa sugli extraprofitti delle banche viene approvata dal Consiglio dei ministri il 7 agosto 2023. In breve, la ratio dietro al provvedimento era questa: a seguito dell'aumento dei tassi d'interesse da parte della Banca Centrale Europea, gli istituti di credito avevano alzato conseguentemente i tassi richiesti per prestiti e mutui, lasciando invece sostanzialmente fermi quelli corrisposti ai detentori di conti corrente e altri strumenti di deposito. Questa dinamica si sarebbe tradotta nell'aumento del margine d'interesse (differenza, appunto, tra interessi attivi e passivi) delle banche. Per rimediare a questa distorsione, ecco dunque che l'esecutivo introduce una tassa del 40 percento, sulla maggiorazione del margine d'interesse realizzato nel 2023 rispetto all'anno precedente.
Annunciando alla stampa l'imposta sugli extraprofitti, il vicepremier Salvini parla di un incasso atteso di "alcuni miliardi". Immediati, arrivano il crollo dei titoli delle banche in borsa e le proteste di molti esponenti del mondo finanziario. Il giorno dopo, tuttavia, la stessa premier decide di metterci la faccia. Il 9 agosto, infatti, Meloni usa la sua rubrica social "Gli appunti di Giorgia" per rivendicare la scelta, definendo "ingiusti" i margini realizzati dalle banche. "Con le risorse che recupereremo, aiuteremo famiglie e imprese", assicura la presidente del Consiglio, in particolare sostenendo la spesa dei cittadini, a fronte del rincaro dei mutui. Pochi giorni dopo, a Ferragosto, in un'intervista ai principali quotidiani italiani, Meloni torna sul tema e dice: "La tassa sugli extraprofitti è stata una mia idea e la rifarei".
L'affondo di Marina e la retromarcia del governo
Le critiche però non si placano e culminano il 15 settembre, con una delle rarissime uscite pubbliche di Marina Berlusconi. A margine dell'assemblea di Confidustria, l'erede dell'impero Fininvest – che comprende, tra l'altro, una quota della banca Mediolanum – dichiara di avere "grandi perplessità" sulla tassa che colpisce gli istituti di credito e si augura che la norma venga modificata in Parlamento. Detto, fatto. Anche a seguito del pressing di Forza Italia , il 25 settembre il governo presenta un emendamento alla legge in discussione in Senato, che modifica radicalmente il testo. In sostanza, alle banche viene concessa la possibilità di non pagare la tassa, scegliendo in alternativa di accantonare una somma pari due volte e mezza quanto dovuto, nel proprio capitale di riserva. Certo, questa somma non potrà essere utilizzata per aumentare gli stipendi dei manager o per distribuire dividendi agli azionisti , ma intanto gli utili ottenuti grazie all'aumento dei tassi in questo modo sono salvi.
Non sorprende quindi che, nelle settimane successive al dietrofront del governo, tutti le principali banche italiane annuncino che si avvarranno della via d'uscita offerta, per non pagare la tasse sugli extraprofitti: da Banca Intesa a Unicredit, da Bpm persino a Monte dei Paschi, che pure è controllata dal ministero dell'Economia. A inizio novembre, sulla base delle comunicazioni date dagli istituti, si calcola già che oltre 2 miliardi di euro attesi dall'imposta non verranno incassati. Con buona pace dell'aiuto alle imprese e alle famiglie, strozzate dal caro mutui.
La giustificazione di Meloni
Dopo essersi attribuita la maternità della norma originaria sugli extraprofitti, Meloni non spende una parola per giustificare il dietrofront. Per mesi, fino al 4 gennaio, quando in conferenza stampa le viene posta una domanda sull'argomento. Nella sua risposta, la premier inizia attaccando le opposizioni che la criticano, ma "quando erano al governo hanno fatto regali miliardari alle banche, mentre noi siamo stati i primi a imporre una tassazione". Tralasciando di dire che i contesti economici e la redditività degli istituti sono oggi molto diversi, rispetto al passato recente.
Meloni prosegue affermando che la tassa non è stata abolita, frase solo parzialmente corretta, vista l'introduzione della previsione sull'accantonamento dei fondi, in alternativa al pagamento dell'imposta, di cui abbiamo detto prima. Ma ecco come la presidente del Consiglio giustifica il cambio di rotta: "Aumentando le riserve – dice Meloni – aumenterà il credito erogato ai cittadini. Quindi nel medio periodo le banche pagheranno più tasse di quelle previste dall'imposta sugli extraprofitti, perché una volta che aumentano le riserve ci sono maggiori impieghi e questi significano maggiori ricavi, quindi più tasse pagate allo Stato". Conclude la premier: "Per lo Stato è un'operazione win-win".
La teoria di Meloni però presta il fianco a diverse obiezioni. La prima è che – per sua stessa ammissione – gli eventuali ritorni per le casse pubbliche ci saranno sul medio periodo, mentre la crisi dei mutui morde gli italiani alle caviglie qui e ora, tanto che appunto si era deciso di introdurre una misura di emergenza. In secondo luogo, a fronte di un'ipotesi d'incasso certa su profitti che Meloni continua a definire "ingiusti", ora il governo si accontenta di possibili proventi futuri, tutti da dimostrare. I soldi risparmiati dalla banche infatti saranno immessi nel capitale di riserva, quello cioè necessario per affrontare eventuali prossime crisi di liquidità. È tutt'altro che scontato quindi l'assunto della premier, per cui questi accantonamenti si tradurranno in un aumento del credito o in maggiori impieghi, sottoposti a tassazione. Anzi, non è detto che ciò accada.
La giustificazione di Meloni non regge però ancor più a monte, di fronte a un'obiezione semplice. Se, come da lei affermato, con la nuova formulazione della norma sugli extraprofitti il vantaggio per lo Stato è maggiore, rispetto alla previsione originaria, perché il governo non ha preso subito questa strada? Andando ancora oltre, seguendo il ragionamento della premier, sarebbe stato meglio non prevedere nessuna nuova tassa, ma costringere le banche a usare i fondi per rafforzare il proprio capitale, così da garantire maggiori introiti per casse pubbliche. Intanto, nelle prossime settimane gli istituti di credito chiuderanno i bilanci del 2023, con utili record. Lì sapremo per certo quanto avrebbero dovuto pagare per la tassa sugli extraprofitti e quanto pagheranno in pratica. Lo spoiler ve l'avevamo dato all'inizio, l'incasso effettivo per lo Stato sarà vicino allo zero.