Elezioni europee 2024

Europee, Polverini (Fi): “Sul lavoro povero Landini ha ragione, ma la colpa è anche del sindacato”

L’ex parlamentare e presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, spiega a Fanpage.it i motivi della sua candidatura: “In Europa serve più attenzione ai diritti dei nuovi lavoratori”. E sulle alleanze suggerisce: “Sì alla maggioranza che elesse Tajani presidente con Conservatori e liberali, no a Salvini e Le Pen”
A cura di Pietro Forti
24 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Nel 2022, dopo due legislature da deputata, Renata Polverini sceglieva di non ricandidarsi alla Camera. È tornata in Forza Italia per dare una mano dopo la morte di Silvio Berlusconi, il leader che l'aveva portata a una vittoria a sorpresa nel 2010 nel Lazio. Oggi è candidata alle europee nella circoscrizione Centro e porta, oltre a una lunga carriera politica, anche trent'anni di esperienza nel sindacato. Polverini è sempre stata un'esponente "libera" e votò per ddl Zan e Ius scholae contro le indicazioni del suo partito. Anche sui numeri record dell'occupazione ha uno sguardo critico, e sul mondo del lavoro concorda con Maurizio Landini: "Il segretario della Cgil ha ragione, ma purtroppo il "demerito" è di tutti – spiega a Fanpage.it – E con l'abolizione del reddito di cittadinanza serviranno misure più strutturali che diano un sostegno concreto alle famiglie in difficoltà".

Due anni fa decideva di non ricandidarsi per un terzo mandato in Parlamento, oggi invece è tornata a candidarsi con Forza Italia, stavolta in Europa. Cosa l’ha spinta a questa decisione?

All'inizio perché ritenevo che Forza Italia avesse bisogno di ciascuno di noi, dopo la morte del presidente Berlusconi per affiancare Antonio Tajani. Poi, correndo, ho visto che Forza Italia riprendeva quota e quindi ho deciso di fare sul serio, proprio per provare a cambiare questa Europa con una prospettiva più rivolta ai giovani.

Lei ha una trentennale esperienza sindacale con l’Unione Generale del Lavoro. L’Italia è uno dei pochi Paesi a non avere un salario minimo e, con l’abolizione del reddito di cittadinanza, a non avere un importante strumento di sostegno al reddito. Se dovesse copiare un provvedimento o uno strumento in quest’ambito da un Paese europeo, quale sarebbe?

Il salario minimo in Italia non c'è ancora, perché in Italia c'è una contrattazione collettiva all'avanguardia rispetto a tanti paesi dell'Unione europea. Penso che bisognerebbe guardare con attenzione al sistema di welfare francese, perché è un Paese molto simile al nostro, e perché è un Paese che con quel sistema, per esempio, non ha problemi di demografia o comunque non come quelli dell'Italia. Bisognerà lavorare proprio perché con l'abolizione del reddito, che sicuramente non andava in direzione del lavoro, soprattutto per i giovani, serviranno delle misure più strutturali da mettere in campo che diano un sostegno concreto alle famiglie in difficoltà.

A tal proposito, i dati Istat segnalano numeri record sull’occupazione. L’Italia però è ancora fanalino di coda in Europa: soprattutto donne e giovani sono ancora le categorie che trovano meno lavoro. Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha sottolineato che i numeri sull'occupazione non parlano della qualità del lavoro e del lavoro povero. Com'è la condizione del mondo del lavoro in Italia, secondo lei?

Il segretario della Cgil ha ragione, ma purtroppo il "demerito", diciamo così, è di tutti, anche del sindacato, che forse non ha saputo intercettare le nuove categorie di lavoratori, soprattutto per quei lavori che si rivolgevano al mondo più giovane. Io penso, quindi, che bisognerà fare uno sforzo comune. Le condizioni di lavoro possono migliorare se ciascuno di noi mette sul piatto qualcosa per dare una prospettiva ai salari e anche ai diritti: penso che in Europa dobbiamo combattere anche per i nuovi diritti. Forse siamo troppo vincolati alle regole del lavoro tradizionale e non abbiamo avuto abbastanza tempo, o comunque non abbiamo voluto dedicare l'attenzione che meritavano i nuovi lavori.

Torniamo a Forza Italia. Fate parte della famiglia europea dei Popolari e per la prima volta si parla di una maggioranza di centrodestra al governo dell’Europa. Lei che idea si è fatta di queste possibili alleanze?

Io penso che potremmo arrivare all'alleanza che ha eletto già nel 2017 Antonio Tajani presidente del Parlamento europeo, e cioè: il Partito popolare, che sicuramente guiderà la legislatura, con i Conservatori della premier Meloni e il partito liberale. Con questa coalizione possiamo avere realmente i numeri per cambiare l'Europa

E con identità e democrazia? 

Io penso che ci limiteremo lì…

Non si può parlare di Unione europea senza parlare dei soldi del Pnrr. In questo momento c’è una polemica molto dura tra amministratori locali e governo per la gestione delle risorse europee. Da ex presidente di Regione, qual è il suo giudizio sulla gestione di questi fondi?

Intanto, che sono tante risorse che vanno assolutamente spese. Forse è il caso di non eccedere in accentramento con cabine di regia nazionale. Su questo, avendo fatto l'amministratore, mi trovo d'accordo: Comuni e Regioni devono avere il loro spazio per poter utilizzare al meglio queste risorse, senza dover far sempre riferimento a un funzionario, magari che si trova a Roma se non a Bruxelles. Invece mi trovo d'accordo con il governo laddove sta cercando di modificare progetti che magari non erano più in linea con quelle che sono le necessità del Paese. Cosa che ho fatto io da presidente di Regione, quando ho utilizzato tutte le risorse che avevo a disposizione, ma chiedendo all'Europa progetti che fossero più attinenti alle esigenze del Lazio.

In Europa si decidono le sorti di molti dossier importanti. Sulle migrazioni si è arrivati al nuovo Patto Ue, sull’ambiente questa è stata la legislatura del Green Deal. Quali di questi temi le sta più a cuore e su quali intende lavorare, se eletta?

Io sento in questo momento storico una grande attenzione per l'ambiente, da parte dei cittadini, ma al tempo stesso sento anche la necessità di far arrivare provvedimenti che non siano vessatori nei confronti del nostro Paese. Mi riferisco in particolare alla direttiva sulle case green che forse, come dire, è strutturata in maniera troppo generica. Penso che il patrimonio urbanistico, paesaggistico e storico che abbiamo noi non è da confondere, per esempio, con quello della Danimarca. Sull'ambiente bisogna necessariamente guardare alle condizioni del Paese per mettere in campo provvedimenti che siano possibili da realizzare. L'Italia ha l'80% delle famiglie italiane che sono proprietarie di casa. Questo significa per ogni famiglia spendere tra i 30mila e i 35mila euro per mettere a segno quella direttiva. Capisce bene che rispetto alla Danimarca o a un altro Paese c'è una bella differenza…

24 CONDIVISIONI
376 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views