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Errori, favori e cinismo: la prima legge di bilancio del governo Meloni è un mezzo disastro

Errori, ritardi e indecisioni, su un impianto confuso e pieno di falle: la prima legge di bilancio di Meloni è lo specchio delle mille contraddizioni della maggioranza che ha vinto le elezioni.
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Nella migliore delle ipotesi, non erano pronti. A dispetto di quanto sbandierato in campagna elettorale e nelle prime dichiarazioni dopo la vittoria alle Politiche, infatti, il centrodestra ha dato prova di grande confusione e di una certa eccentricità nella determinazione delle priorità di intervento. La gestione della legge di bilancio in tal senso è paradigmatica, tra errori, ritardi e scelte incomprensibili. Eppure sembrava tutto in discesa o quasi, considerando il lavoro "in continuità" con l'esperienza Draghi e il via libera delle istituzioni europee. Invece, ne abbiamo viste di ogni.

Ci è toccato assistere a un clamoroso dietrofront sui pagamenti elettronici, una misura rivendicata con forza dalla Presidente del Consiglio (che addirittura ha rilanciato la ridicola battuta del "Pos ai rave"…), dopo un balletto di cifre e ipotesi totalmente incomprensibile. Abbiamo visto una serie di tentativi di inserire condoni, scudi fiscali e penali, senza una ratio chiara e definita. Passo dopo passo, il governo ha smontato il reddito di cittadinanza senza però chiarire cosa intenda fare per assistere le persone che si troveranno in grave difficoltà: la riforma complessiva dei meccanismi di sostegno è poco più di un annuncio. Sono emerse distanze tra le diverse anime della maggioranza, che hanno portato a compromessi al ribasso e accordi dal respiro corto. Un "errore di distrazione" ha riportato il testo in Commissione, poche ore dopo l'avvio della discussione. La ragioneria ha chiesto decine di variazioni e il tempo stringe. Un disastro, insomma, nonostante un'opposizione divisa per strategie e ambizioni.

È sembrata mancare una regia lucida, che imponesse una direzione e riuscisse a convogliare tutte le energie di tecnici e ministri su un obiettivo chiaro. L'incredibile caos dei lavori della Commissione Bilancio della Camera dei deputati e il grande ritardo accumulato ancora prima che cominciasse la discussione d'Aula sono stati segnali chiari delle difficoltà della maggioranza. Ma lo è ancora di più la dinamica che ha portato all'approvazione di alcune misure simbolo del nuovo corso meloniano.

L’incapacità di resistere a pressioni e condizionamenti esterni è ad esempio alla base della generosa (eufemismo) dilazione dei pagamenti delle ritenute Irpef, dell’Iva e delle addizionali concessa alle società sportive (il cosiddetto salvacalcio), che addirittura era inizialmente accompagnata da uno scudo penale. Circa 900 milioni di euro che sono una boccata d’ossigeno per le società, ma che da qualche parte devono pur essere saltati fuori. E se si considerano le mancate promesse su pensioni, oneri di sistema sul caro energia e in parte sul taglio del cuneo fiscale, qualche dubbio sull’opportunità di tale scelta resta.

Abbiamo a lungo parlato della ratio dietro la nuova regolamentazione del reddito di cittadinanza, quello che colpisce è però la progressiva cancellazione della misura di sostegno a colpi di emendamenti e proposte aggiuntive. La tecnica è sempre la stessa, mutuata dal piano comunicativo: non presentare mai il piano complessivo, ma aggiungere un tassello alla volta, in modo da valutare le reazioni dell'opinione pubblica e, nel caso, essere in grado di ricalibrare e tornare indietro. Non si stesse giocando con la vita di decine di migliaia di persone, potremmo discutere di strategia efficace e produttiva. Così, è solo un gioco cinico.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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