Accusato da pentiti senza alcun riscontro oggettivo, arrestato, ammanettato e dato in pasto al pubblico, ai giornali alla tv; condannato in primo grado; infine assolto con formula piena e in Cassazione ma morto con l'amaro di non vedersi riconosciuto nemmeno un risarcimento degno di questo nome. Venticinque anni fa, il 18 maggio 1988, moriva Enzo Tortora, il popolare presentatore televisivo, l'ideatore della nazionalpopolare "Portobello" la cui vicenda è divenuta simbolo, spesso tuttora evocato – l'ultimo è stato Silvio Berlusconi scatenando polemiche – della malagiustizia italiana.
Tortora soltanto dopo l'odissea kafkiana si ripresentò al pubblico televisivo della Rai, il 20 febbraio 1987, quattro anni dopo l'arresto su ordine della Procura di Napoli con l'accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico. Colui che, insieme a Raimondo Vianello, Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo, è considerato uno dei padri fondatori della radio e della televisione italiana, conduttore di un contenitore come ‘Portobello', (1977) considerato dai critici antesignano della tv degli anni '90 e comunque anticipatore di tantissimi filoni televisivi, in quell'occasione ebbe a pronunciare la celebre frase "Dove eravamo rimasti", rivolta agli spettatori che nel corso degli anni non gli avevano mai fatto mancare l'affetto. Minato nello spirito e nel corpo, Tortora però morì pochi mesi dopo. "Il mio dispiacere e' che a 25 anni di distanza l'Italia non ha fatto un centimetro in avanti. La vicenda giudiziaria di cui è stato vittima mio padre si può ripetere e si ripete": così Silvia Tortora, in occasione dell'anniversario della morte del padre.