Elly Schlein: “La politica cammini al passo degli ultimi, senza lasciare nessuno indietro”
di Elly Schlein
Buon giorno e buon 25 Aprile, buona festa della Liberazione a tutte e tutti.
Vi ringrazio per l’invito, ringrazio voi che siete qui e voi che ci state seguendo ovunque siate. Carissimo Sindaco Merola, carissima Presidente Cocchi, grazie per le vostre parole.
Parole che, come pietre, anche quest’anno rafforzano i valori di questa comunità, una casa le cui fondamenta sono state scavate nello spirito della Costituzione antifascista e dal sacrificio delle partigiane e dei partigiani, di staffette e combattenti, delle forze alleate, di tutti coloro che hanno contribuito a liberarci.
Questo non è un 25 aprile come gli altri. Non potrebbe esserlo. Anzitutto perché non siamo in piazza insieme. Perché oggi non saliremo sul pratone di Monte Sole con le chitarre, e li saluto con particolare affetto perché avrei dovuto essere lì oggi, come ogni anno degli ultimi 15, e non saremo nemmeno sulle vie del Pratello, se non con le nostre foto. Ma soprattutto perché è impossibile non avere la mente affollata di pensieri e preoccupazioni sulla fase inedita e difficilissima che sta vivendo l’intera comunità regionale dell’Emilia-Romagna, l’intero Paese, il mondo.
Trema la voce a pensare a chi sta lottando contro il virus e la solitudine cui condanna, a chi sta soffrendo, a chi ha perso qualcuno che amava senza un saluto, a chi rischia tutti i giorni per curare o aiutare qualcuno altro, per un lavoro cui non ha potuto rinunciare, per mandare comunque avanti l’essenziale, a chi ha qualcuno lontano, come le coppie divise dalla quarantena, a chi come me non sa quando rivedrà mamma e papà, che saluto.
E’ un’emozione prendere la parola in questa Piazza simbolo dell’antifascismo e della Resistenza, davanti alle immagini di queste donne e questi uomini che hanno combattuto la dittatura nazifascista sacrificando le loro vite per la nostra libertà. Queste donne e uomini non hanno fatto ciò che hanno fatto perché sapessero di essere eroi, ma perché sentivano che andava fatto, perché sentivano che fosse la cosa giusta da fare. Questo ci fa sentire così vicini a loro, al valore etico di quello che ci lasciano. Erano persone che vivevano una vita normale prima che la ferocia del regime fascista e nazista li trascinasse dentro il periodo più buio della nostra storia del ‘900. Erano contadine e contadini, studentesse e studenti, artigiani, insegnanti, braccianti, commercianti, operaie ed operai.
Alcuni poco più che ventenni, non hanno avuto la fortuna di assistere alla Liberazione di Bologna, il 21 aprile del 1945. A tutti loro, “i morti per sogni davanti al Santo Petronio”, come scrisse Francesco Guccini, a nome mio e dell’Istituzione che rappresento, voglio rivolgere una parola semplice e mai come in questa occasione sentita: grazie, grazie, grazie. Lo dico anche per chi ancora non sa ringraziare.
Quelle qui dietro nel Sacrario non sono soltanto foto, se le guardiamo bene ci vediamo anche noi, che oggi siamo liberi di essere cio’ che siamo anche grazie a loro. La memoria non è mai esercizio di rito, ma sforzo quotidiano di imparare dalla storia per non ripetere gli stessi errori tragici del passato. E di capire che alle nostre spalle non abbiamo foto sbadite ma scelte vive di persone vere, la cui portata ci richiama oggi, di fronte a nuove sfide epocali, ad un’enorme responsabilità. Perché le scelte toccano anche a noi.
Scegliamo sempre di mobilitarci, di non essere indifferenti, di interessarci degli altri e della cosa pubblica, di prendere parte: di essere partigiani.
Siamo da ormai due mesi alle prese con un dramma di dimensioni planetarie che sta colpendo tutti i Paesi, in particolare il nostro, e che porta con sé un carico di dolore e di morte che ci segneranno per sempre. Una crisi trasversale che sta avendo e avrà conseguenze economiche e sociali pesanti, cui dobbiamo rispondere con prontezza, affinché questa crisi non vada ad aggravare il quadro già preoccupante di diseguaglianze sociali, economiche, territoriali, di genere. La Regione Emilia-Romagna è al lavoro dal primo giorno per affrontare i tanti fronti dell’emergenza sanitaria, economica e sociale sostenendo famiglie e persone sole, lavoratrici e lavoratori, imprese e terzo settore.
E lo fa insieme ai tanti sindaci dell’Emilia-Romagna, che voglio davvero ringraziare, perché come già in passato hanno dovuto fare, come per il terremoto, si sono messi subito al lavoro per gestire una situazione inedita, essendo la porta prima cui tante persone vanno a bussare nel bisogno, ed affrontando anch’essi grandi difficoltà. Un ringraziamento va anche alla protezione civile, ai vigili del fuoco e alle forze dell’ordine impegnate a gestire l’emergenza.
E una parola va agli sforzi sovrumani di medici, infermiere e infermieri, operatrici e operatori sociosanitari, personale ausiliario, tecnico e i tantissimi volontari e le volontarie, oltre 10mila solo in questa Regione, persone che lottano senza sosta per salvare vite umane nelle corsie dei reparti e per dare aiuto a chi ha più bisogno guidando le ambulanze, consegnando i beni di necessità: meritano tutta la nostra gratitudine, tutto il nostro sostegno.
Voglio anche menzionare il coraggio di chi in questo momento sta continuando a dare il suo contributo affinché si possa continuare a vivere: chi lavora nelle farmacie e nei supermercati, nei servizi essenziali, chi pulisce e sanifica le nostre città, gli ospedali e i luoghi di lavoro, chi trasporta le persone o il cibo, spesso senza adeguate tutele, chi si prende cura delle persone anziane e delle persone con disabilità, dei minori in comunità e delle persone che non hanno una casa in cui restare.
Non sarà facile. Ogni giorno stiamo a contatto con le persone sul territorio, le difficoltà sono enormi. Oltre alle fragilità che già conoscevamo, e che rischiano di aggravarsi, emergono nella trasversalità di questa crisi nuovi bisogni che dobbiamo riuscire a leggere con lenti nuove e intercettare in fretta.
La politica dovrà camminare al passo degli ultimi, senza lasciare nessuno indietro.
Al passo delle persone anziane custodi di una memoria preziosa e di un’esperienza di cui non possiamo fare a meno, che oggi dobbiamo sostenere come e più di prima, visto che sono più a rischio. Al passo di chi ha perso il lavoro o non lo aveva nemmeno prima della pandemia, di chi ha un reddito che non basta a vivere dignitosamente, al passo di chi è rimasto fuori dalle pur significative misure messe in campo con gli ammortizzatori sociali, perché lavoratrice o lavoratore stagionale, domestico, precario, autonomo, sommerso. Al passo delle persone con disabilità cui non deve mancare il sostegno della comunità tutta, perché anche la crepa di un marciapiede si fa voragine, se hai l’impressione di vederla solo tu, mentre gli altri ti corrono accanto nell’indifferenza. Altro virus che ammala da tempo, purtroppo le nostre società. E che va ugualmente combattuto.
Al passo delle persone che vivono da sole, di quelle che oggi non ce la fanno a pagare l’affitto e le bollette o che non hanno proprio una casa in cui restare, al passo dei migranti, troppo spesso sfruttati in modo inaccettabile anche nelle nostre campagne dove dobbiamo estirpare il caporalato, perché solo riconoscendo eguali diritti a tutte le lavoratrici e i lavoratori elimineremo lo sfruttamento e le storture che produce per tutta la comunità. E senza dimenticare chi si trova in carcere, in condizioni difficili, e chi ci lavora.
Immaginare nuovi paradigmi sociali, ambientali ed economici è un compito faticoso ma allo stesso tempo necessario.
È riempire di senso la parola che più di ogni altra simboleggia la giornata di oggi: liberazione. Libertà dalle prepotenze autoritarie, libertà dal bisogno, libertà di ritrovare l’essenzialità delle cose e degli affetti.
Ne usciremo, ne usciremo insieme e uniti, e ne usciremo cambiati. Sta a noi assicurarci di cambiare in meglio. Il nostro mondo non sarà più lo stesso e con questa verità dovremo fare i conti. Perciò è fondamentale, al dì là del quando, il come ricostruire. Non dipenderà dalla buona o dalla cattiva sorte. Dipenderà da noi, e dalle scelte che noi faremo.
Ogni discussione sulla fase di graduale ricostruzione dovrà necessariamente tenere insieme il supporto alle famiglie nella gestione dei bambini, per cui bisogna immaginare soluzioni creative e responsabili per il loro diritto ai percorsi educativi, di socialità e agli spazi aperti, specie per i bambini con disabilità che hanno vissuto un’emergenza nell’emergenza. Siamo già al lavoro con le migliori competenze ed energie che fortunatamente abbiamo in questa regione, per fare proposte concrete. Non si pensi di lasciare le famiglie da sole, non possiamo rischiare che un genitore stia a casa per curare i figli, perché sarebbe quasi sempre la madre e non ci possiamo permettere alcun passo indietro sulla parità di genere e sulla già difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Proprio oggi, il 25 aprile, ripensiamo anche al ruolo straordinario che le donne hanno avuto nella resistenza, ripensiamo alle tante figure che, anche dopo la guerra, hanno dato un contributo essenziale per costruire la nostra democrazia: ne dico una per citarne tante, Nilde Iotti.
Ma la discussione sulla graduale ripresa non può nemmeno prescindere dal complesso tema di come riorganizzare la mobilità, gli orari delle città e gli spazi e soprattutto dal tema della transizione ecologica necessaria, una responsabilità che abbiamo verso le prossime generazioni.
Non dobbiamo puntare a tornare alla normalità, ma cogliamo l’occasione di questa crisi per correggerla. Puntando sulla qualità della vita delle persone e del pianeta. Sul lavoro dignitoso, sul sostegno al reddito, sull’aria pulita e il diritto alla casa: impariamo la lezione sul ruolo fondamentale del pubblico, sul ricostruire comunità resilienti rafforzando i presidi sanitari e sociali sul territorio.
In una parola, si tratta di ricostruire ripensando il modello di società, tenendo insieme la ripresa, la lotta alle diseguaglianze e la transizione ecologica necessaria, che dobbiamo a questa terra e a chi verrà dopo di noi per affrontare l’emergenza climatica.
Senza dimenticare che dobbiamo lottare ancora per una democrazia più forte e partecipata, per i diritti fondamentali di tutte e tutti, che in Costituzione si accompagnano ai doveri di solidarietà. Senza dimenticare di lottare anche per liberare Patrick Zaky, Silvia Romano e per ottenere verità per Giulio Regeni. Insistendo perché la si smetta di commerciare armi con i Paesi impegnati in conflitti, violando una legge dello Stato. E contrastando ogni discriminazione razziale, di genere e per orientamento sessuale.
Ad ogni generazione la sua sfida, lontano da ogni paragone che sarebbe impossibile tracciare, ma questo è il nostro turno.
Per questo abbiamo bisogno di un’Unione europea che recuperi lo slancio utopico delle madri fondatrici e dei padri fondatori, di italiani come Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi e di Ursula Hirschmann, di Ada Rossi, di chi mentre le città europee erano sotto il fuoco dei bombardamenti, concepiva a Ventotene, rinchiuso in prigione dai fascisti, il più bello e ambizioso progetto politico di sempre: la federazione europea.
Non c’è più tempo da perdere. Cari governi europei, uscite dagli egoismi nazionali che vi tengono in catene e siate all’altezza della sfida. L’Unione è chiamata a garantire a tutti un futuro di protezione e tutela dalla crisi materiale e dalle spinte autoritarie che questa potrebbe portarsi dietro.
La minaccia dei rigurgiti fascisti e nazionalisti non dorme mai e non si ferma nemmeno davanti alla pandemia mondiale. Anzi, con preoccupazione dobbiamo guardare a quei Paesi che hanno soppresso la democrazia.
Questa è una crisi che riguarda tutti. Se ne esce tutti insieme o nessuno si salverà da solo. O l’Unione saprà rimettere al centro il principio di solidarietà su cui si è fondata, oppure rischia di affondare. Con un piano straordinarie di risorse, anche proprie, e di risposte innovative, accettando di mettere insieme ciò che serve per affrontare sfide che nessun Paese può affrontare da solo.
Ma c’è un’altra Europa che ci fa sperare, quella di chi ci manda segni concreti di solidarietà, dei pompieri inglesi e dei quartieri in Germania che cantano Bella Ciao. Serve una grande mobilitazione popolare europea che indichi la giusta direzione.
E anche qui quella minaccia fascista e nazionalista è purtroppo ancora viva. Lapidi distrutte, minacce alle insegnanti, svastiche disegnate sui muri delle scuole e le stelle di David sui portoni – è successo anche a un amico, qui a Bologna. Figlio di uno dei soldati polacchi che si unirono alla resistenza e alle forze alleate e contribuirono a liberare la nostra città.
E lo voglio dire qui, non basta più limitarci a sanzionare chi utilizza parole d’odio. Qui dobbiamo rimboccarci noi le maniche e rimuovere le cause sociali da cui scaturisce quell’odio. E rilanciamo l’appello che Anpi più volte ha rivolto alla politica e alla magistratura: i partiti e le organizzazioni fasciste vanno sciolti, lo dice la Costituzione!
Ci sarà tanto da ricostruire. E Bologna lo sa bene cosa vuol dire ricostruire. Bologna è un esempio di resistenza e di impegno civile, una città medaglia d’oro alla resistenza, una città più volte ferita, anche il 2 agosto del 1980, una città che non ha mai dimenticato e che chiede ancora giustizia per quella strage.
L’Emilia Romagna è stata ricostruita più volte con il pragmatismo e con la solidarietà, dopo la guerra, dopo il terremoto, e si è sempre fatta forte di un’idea, la stessa idea che ci ha lasciato chi ha combattuto per la libertà: che la cura degli altri è la prima forma di cura di sé. Che la comunità più sicura è quella più inclusiva, quella in cui nessuno è lasciato indietro, in cui fai un passo avanti soltanto se ti volti per tendere una mano a chi fa più fatica.
Che vi arrivi quindi l’abbraccio più caldo mio e di tutta la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, che gli abbracci sono tra le cose che ci stanno mancando di più.
E adesso forza, teniamo botta! È questo il modo migliore per festeggiare la liberazione.
Ora e sempre, Resistenza. Viva il 25 aprile, viva l’Italia, viva la Repubblica Italiana!