Una madre, cristiana, italiana. L’altra che ama una donna, laica, cittadina del mondo. Una che vuole abolire il reddito di cittadinanza, l’altra che vuole abolire il precariato. Una che teme gli effetti della transizione verde, l’altra che teme il riscaldamento globale. Una nazionalista, l’altra europeista. Una che vuole chiudere i porti ai migranti, l’altra che vuole cambiare il trattato di Dublino. Una convinta proibizionista in tema di droghe leggere, l’altra che vuole legalizzarle. Una che si fa chiamare “Il” presidente, l’altra che vuole abbattere il patriarcato.
Potremmo continuare ancora, ma il senso è chiaro. Con l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico appare evidente la nascita di un nuovo bipolarismo perfetto incardinato sulla contrapposizione con la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Una dialettica, questa, che marginalizza tutti i terzi poli, le posizioni intermedie, quelli che “destra e sinistra non esistono più”. E che fa apparire le leadership di Carlo Calenda e Giuseppe Conte – ma anche quelle di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi – improvvisamente vecchie, fuori dal tempo.
È una polarizzazione, quella tra Schlein e Meloni, che può permette alla premier di ricompattare la sua coalizione e il suo popolo contro un “nemico politico” chiaro ed evidente, tale da obbligare Salvini e Berlusconi ad abbandonare le loro velleità di sabotatori interni della coalizione. Allo stesso modo, è una polarizzazione che obbligherà presto o tardi Giuseppe Conte e Carlo Calenda a scegliere da che parte stare, abbandonando ogni ambiguità programmatica e ogni tentativo di svuotare un Partito Democratico alla deriva.
Certo, oggi la sfida tra Meloni e Schlein appare impari. Una è la presidente del consiglio, leader di una formazione che veleggia tra il 25 e il 30 per cento dei consensi. L’altra, la nuova leader di un partito in crisi e balcanizzato, in cui le primarie hanno messo in luce l’abissale distanza tra la sua classe dirigente territoriale, che sosteneva Stefano Bonaccini praticamente in blocco, e il suo elettorato potenziale, che ha votato in massa per Schlein. Ancora: una guida una coalizione unita, l’altra deve rimettere insieme i pezzi di un “campo largo” che a oggi sembra più un campo di battaglia.
Sebbene il piano appaia inclinato a favore di Meloni, però, l’esito della loro contrapposizione non è per nulla scontato. Perché l’Italia, è vero, è un Paese profondamente conservatore, nostalgico, in lotta per difendere quel che rimane dell’esistente. Ma è anche un Paese ciclicamente attraversato dall’aspirazione di essere diverso da com’è. Sta a Schlein provare a intercettare questa aspirazione e darle corpo e concretezza. Sta a Meloni far sì che non accada. La partita è appena cominciata.