“Per noi amanti del calcio il 4-3 evoca ricordi fantastici, con il piattone di Gianni Rivera e la Germania eliminata. […] Fosse un 4-3 sarebbe comunque una vittoria per il Pd”. Così parlò Matteo Renzi, a Genova per sostenere Raffaella Paita nella corsa alla Regione Liguria. È il punto più basso in cui il Presidente del Consiglio abbia mai collocato l’asticella delle aspettative per queste Elezioni Regionali 2015. Solo qualche mese fa, sondaggi e “sensazioni” autorizzavano il sogno del 7 a 0, con la conferma in scioltezza di Toscana, Umbria e Marche, l’agevole insediamento di Emiliano in Puglia, la vittoria “sicura” in Liguria e reali possibilità di espugnare Campania e Veneto. Poi, qualcosa è cambiato e la campagna elettorale ha restituito più incognite che certezze.
Lentamente si è passati dal “sogno” del cappotto, al realismo del 5 a 2 fino al “lamento preventivo” del 4 a 3. La ragione principale di questa inversione di tendenza è da rintracciarsi nel momento di grande difficoltà del Governo guidato dal Presidente del Consiglio, vero e solo traino dei candidati nelle regioni in bilico. Paita, Moretti e De Luca (con i necessari distinguo e tenendo conto di come si sono evolute le cose in termini di alleanze, candidature e campagna elettorale) avevano, in sostanza, un disperato bisogno di una robusta spinta da parte di Renzi. Aiutino che non si è concretizzato, se non in minima parte, per una serie di contrattempi, nel quale è incappato lo stesso capo del Governo.
Che, certo, aveva già rinunciato alla Campania (non è un mistero che una eventuale sconfitta di De Luca sarebbe liquidata con una alzata di spalle in casa democratica), ma che avrebbe considerato come “suoi personali” i successi della Moretti e della Paita. Se in Liguria la sfida (ad handicap per “colpa” di Pastorino) è ancora aperta (anche se il test è di enorme rilevanza, enorme), diverso è il discorso del Veneto, dove il progetto renziano pare mostrare tutti i suoi limiti. La Moretti, passata per le primarie e per la rinuncia alla poltrona di Strasburgo (su cui si era seduta dopo aver rinunciato al seggio in Parlamento), ha fatto una campagna elettorale generosa e dispendiosa, provando a colmare un gap con Zaia che si è solo assottigliato dopo la “scissione” di Flavio Tosi. Per completare la rimonta, la Moretti avrebbe avuto bisogno dell’effetto – Renzi, quello in grado di portare il Partito Democratico al massimo storico solo un anno dopo il suo punto più basso.
L'effetto Renzi non c'è stato e, a meno di clamorose sorprese, non ci sarà domenica. Soprattutto perché si è rivelato più difficile del previsto imporre durante la campagna elettorale la "narrazione renziana", quella del Paese in ripresa, della disoccupazione in caduta, del Governo del fare, delle riforme in dirittura d'arrivo, dei conti a posto, del prestigio internazionale riguadagnato, della gestione responsabile delle emergenze. E, si badi bene, il progetto è naufragato non tanto per la "non rispondenza dei lanci pubblicitari alla realtà dei fatti" (se ne può discutere nel merito, certo, ma dati e provvedimenti portati a casa restano), quanto per l'emergere di nuove questioni, che interessano molto da vicino l'elettorato che si era fidato ciecamente dell'ex Sindaco di Firenze.
Scuola e pensioni, sono state le mine sul cammino del Presidente del Consiglio verso le Europee – bis. La controversa sentenza della Consulta, infatti, non solo lo ha costretto a dar fondo al tesoretto, ma ha anche regalato un formidabile argomento ai suoi avversari politici (a parere di chi scrive, peraltro, in modo molto, molto strumentale). Il goffo tentativo di far passare il rimborso come un bonus, poi, la dice lunga sulle difficoltà "comunicative" di Renzi. Una novità assoluta, in pratica.
La riforma della scuola, invece, ha generato proteste e resistenze impreviste, almeno nella loro forza, condivisione e potenza narrativa (appunto). Renzi ha provato a correggere il tiro, accettando modifiche e mettendoci la faccia, ma non è riuscito ad invertire l'inerzia e, soprattutto, a "convincere" professori e genitori sulla bontà delle intenzioni del Governo (che pure assumerà centomila persone e immetterà risorse nel sistema scuola, tanto per essere chiari). E non ha senso prendersela con il "calendario", perché l'idea era proprio quella: arrivare alle Regionali con un'altra tacca sull'asticella delle "cose fatte" e la scuola è sempre stata centrale nell'intero progetto di cambiamento del Paese che Renzi ha in mente. Che si rivelasse un boomerang, non era nemmeno lontanamente nelle previsioni. Come il 4 a 3 alle Regionali non lo era solo qualche mese fa.