Pochi giorni fa le elezioni amministrative in Spagna hanno riportato il grande successo del movimento politico Podemos, nato dai giorni delle proteste degli Indignados del 2011. Il movimento guidato da Pablo Iglesias, contro l’austerity, è riuscito a prendere la capitale catalana Barcellona appoggiando la lista “Barcelona en comu” e mettendo l’attivista Ada Colau – fotografata più volte mentre manifesta contro gli sfratti – come sindaco della città. A Madrid, invece, è il partito di destra ora al governo del paese, il PP di Mariano Rajoy, ad aver ottenuto la maggioranza del 34%con la candidata Esperanza Aguirre. Ma Manuela Carmena di Podemos è arrivata seconda, col 32% di voti, e ora potrebbe nascere una coalizione di Podemos per governare la capitale col Psoe (il partito di maggioranza di sinistra) che ha preso il 9.
Quello che è accaduto in Spagna ha qualcosa di rivoluzionario. Come spiega il giornalista del Guardian Alberto Nardelli su twitter: “Movimenti/partiti fondati solo un anno fa ora governeranno le principali città Madrid e Barcellona. Questo è piuttosto straordinario”. Ancora più incredibile se pensiamo che nel momento in cui la Spagna inizia a registrare la ripresa, una crescita dell’1% (primo trimestre 2015), succede che il partito di governo PP perda 2 milioni e mezzo di voti, mentre il PSOE, il partito di maggioranza di sinistra spagnolo che fino a pochissimi anni fa dominava con Luis Zapatero, a Madrid prende il 9% dietro il 32% di Podemos.
Qualcosa sembra definitivamente cambiato nella politica europea. Nuovi soggetti politici prendono spazio a scapito dei vecchi partiti, e in particolare sui temi sociali, istanze locali, e contro l’Europa. E i risultati spagnoli non sono gli unici fatti recenti a sostegno di questa tesi. C’è la vittoria di Syriza in Grecia. C’è l’antieuropeista Andrezj Duda appena eletto in Polonia. Solo due settimane fa, inoltre, le elezioni politiche nel Regno Unito hanno registrato la vittoria, nuovamente, del partito dei conservatori di David Cameron, col 36% di voti contro il 30% della sinistra Labour. Una vittoria inaspettata: gli exit poll davano per scontato un vantaggio della sinistra. Ma il vero risultato incredibile è stato ottenuto dal partito nazionalista scozzese SNP, di Nicola Sturgeon. Che ha conquistato il 5% dei voti ottenendo 55 seggi in parlamento (un quarto, per intenderci, dei 200 ottenuti dal partito di maggioranza di sinistra Labour).
E in Italia, che succede? È possibile individuare una simmetria fra quello che è accaduto in Spagna e in Inghilterra, rispetto al nostro paese? Dopotutto fra pochi giorni, il 31 maggio, si terranno le elezioni amministrative: in Veneto, Campania, Liguria, Marche, Umbria, Toscana e Puglia si rinnoveranno presidenti e consigli regionali. Nella maggior parte, stando ai sondaggi, i favoriti sembrano essere i candidati del PD: da Michele Emiliano, attuale sindaco di Bari, che dovrebbe assicurarsi circa il 50% di voti per la Puglia a Enrico Rossi in Toscana, e in Umbria la candidata Catiuscia Marini. Anche in Liguria la renziana Raffaella Paita sembra in vantaggio, così come Vincenzo de Luca in Campania, sempre del PD.
Eppure la questione non è così semplice. Queste elezioni, infatti, sono state finora terreno di scandali, diatribe e scissioni interne ai partiti. Nello stesso Pd, in Forza Italia, perfino nella Lega Nord. Esistono già ora, quindi, molti aspetti interessanti di queste elezioni amministrative. Lo stesso Matteo Renzi ha affermato: “È ora di farla finita di trasformare le elezioni in uno scontro per i giochi politici romani”, in merito alle amministrative in Liguria. Nella regione, infatti, le cose non sembrano facili: la candidata Raffaella Paita, ora assessore alle infrastrutture, è indagata per omicidio e disastro colposo per le alluvioni di Genova dello scorso ottobre. Le primarie per scegliere il candidato del PD, inoltre, sono state animate da forti scontri all’interno del partito, che hanno portato Sergio Cofferati a lasciare il PD, denunciando irregolarità e brogli. Fra i candidati alla regionali, inoltre, c’è un altro recente fuoriuscito dal PD: il civatiano Luca Pastorino, a cui i sondaggi attribuiscono circa il 10% di voti.
Anche in Campania le cose sono state finora molto complicate. Il favorito Vincenzo De Luca, candidato del PD, ex sindaco di Salerno, è stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio. Ma non basta: sono tanti i nomi “impresentabili” nelle file dei candidati nelle liste regionali del PD: alcuni indagati, altri condannati, altri vicini alla criminalità organizzata, come ha denunciato lo scrittore Roberto Saviano. I problemi per queste amministrative si vedono anche a destra. In Veneto il candidato della Lega Luca Zaia resta favorito con largo vantaggio, ma dovrà scontrarsi con un altro candidato della Lega: Flavio Tosi, a cui i sondaggi attribuiscono un 8% di voti. Mentre in Puglia la frattura è avvenuta dentro Forza Italia: alla candidata Adriana Poli Bortone si affianca il candidato Francesco Schittulli, che fa parte dei scissionisti dell’ex forzista Raffaele Fitto, appoggiati dal Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano.
Sembrano elezioni molto complicate, confuse, come confuso sembra essere questo momento del nostro paese. Incerti sembrano anche i segnali che arrivano dalle opposizioni. Il Movimento 5 Stelle, nonostante i problemi dei partiti di maggioranza, sembra non trovare quella spinta capace di portare ad un salto di qualità. E se la tendenza nel resto d’Europa è l’antieuropeismo nazionalista alla Le Pen in Francia, o quello dei nuovi movimenti di sinistra come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia, è difficile riuscire capire dal M5S in quale di queste due “scuole” voglia imbarcarsi. Tuttavia, è interessante notare come ovunque il movimento di Beppe Grillo continui a tenere alta l’asticella dei consensi (attorno al 15-20%). Un numero che potrebbe poi facilmente sorprendere al momento delle elezioni amministrative.
Dall’altra parte abbiamo Matteo Salvini, che aspira a essere il nuovo leader della destra, nonostante Berlusconi abbia rifiutato la sua leadership. Il leader della Lega ha di recente assunto posizioni sempre più antieuropeiste. Mentre Pippo Civati, neo fuoriuscito dal Pd, lancia un suo nuovo progetto ispirato alla Spagna: “Possibile”, progetto che probabilmente andrà ad affiancarsi alla "coalizione sociale" di Maurizo Landini. Entrambi i progetti, per ora, rimangono tuttavia nell’ombra.
I numeri, quindi, a scanso di grandi sorprese, daranno ragione a Matteo Renzi, sul campo del primo vero voto in Italia dall’inizio del suo governo. I favoriti nelle regioni sono tutti del PD. Eppure, come abbiamo visto, questa considerazione non basta a comprendere il disegno più grande di ciò che sta avvenendo nella politica e nella società. In Italia, e in Europa. E cioè che la disgregazione dei partiti di maggioranza tradizionali, e del bipolarismo “destra contro sinistra”, è ormai definitivamente avviata. Che le formazioni in campo sono tante, tra nuovi soggetti politici e scissioni nei vecchi partiti. Che il terreno per la nascita di nuovi movimenti, su istanze locali, antieuropeiste, e sociali, è diventato ampio. E nel dato elettorale puro rimane sempre da non sottovalutare il M5S, che continua a tenere consensi, e potrebbe riservare grandi sorprese a queste amministrative o in futuro: è cioè che è accaduto in Spagna e nel regno Unito.
E forse non basteranno i timidi segnali di ripresa o le mance elettorali di Matteo Renzi – siano gli 80 euro in busta paga o i 500 euro ai pensionati. Dopotutto, come spiega Alessandro Gilioli sul blog piovonorane, in Spagna il partito di governo PP ha perso a queste amministrative due milioni e mezzo di voti. Nonostante in Spagna ci sia la ripresa, e una crescita dell’1% nel primo trimestre del 2015. Perché questi numeri, così come il ravvio dell’occupazione, non influiscono più concretamente sulla vita delle persone, dei più poveri, del ceto medio colpito dalla crisi. Che nei vecchi partiti non crede più. E che, sempre di più, sorprende nei momenti elettorali.