Elezioni, da Di Maio e Bonino a Pillon: tutti i grandi esclusi dal Parlamento dopo il voto
Da una parte la riduzione del numero dei parlamentari, dall'altra il forte successo della destra: vediamo le ragioni per cui molti "big" della politica italiana non ritorneranno in Parlamento nella prossima legislatura. Mentre si conclude lo spoglio delle schede e i risultati diventano ufficiali, ci sono alcuni candidati che sono già sicuri di non avere un posto alla Camera o al Senato.
Il nome forse più noto è quello di Luigi Di Maio: attuale ministro degli Esteri e fondatore della lista Impegno civico, Di Maio era candidato nel collegio uninominale della Camera di Napoli Fuorigrotta. Nonostante la candidatura nella "sua" città, che l'aveva eletto nel 2018, la separazione dal Movimento 5 stelle è stata pagata a caro prezzo: nel collegio, infatti, ha vinto l'ex ministro Sergio Costa, candidato proprio con i 5 stelle, che ha avuto circa il 40% dei voti. Più che sufficienti per superare Di Maio, che non è arrivato al 25%. Subito dietro Di Maio è arrivata la candidata del centrodestra Mariarosaria Rossi, mentre al quarto posto si è piazzata Mara Carfagna, candidata con il Terzo polo, che ha raggiunto il 7% dei voti.
Per Di Maio non c'è speranza neanche di essere recuperato nei collegi plurinominali: la sua lista, Impegno civico, non ha infatto raggiunto la soglia di sbarramento del 3%, fermandosi tra lo 0,5% e lo 0,6% dei voti. Perciò, nessuno dei suoi componenti candidati nei collegi plurinominali potrà avere un seggio in Parlamento. L'unico rappresentante di Impegno civico a essere eletto sarà Bruno Tabacci, l'altro fondatore insieme a Di Maio, che ha vinto nel suo collegio uninominale per la Camera in Lombardia (a Loreto) con oltre il 38% dei voti.
Si trova in una situazione simile anche Emma Bonino: la storica leader di +Europa ha preso più voti di Carlo Calenda nel suo collegio uninominale di Roma (Roma centro e nord), ma comunque meno di Livia Mennuni, candidata del centrodestra, che è avanti con il 36% dei voti contro il 33% di Bonino. Allo stesso tempo, +Europa non ha raggiunto la soglia di sbarramento per un soffio (al Senato, la percentuale raggiunta sarà circa del 2,95%), quindi non potrà contare neanche sui collegi plurinominali.
Per il centrosinistra, anche Pippo Civati rischia di non riuscire a essere eletto in Parlamento. Il fondatore di Possibile era candidato in Emilia Romagna, capolista nel secondo collegio plurinominale della Regione (quello di Bologna). Lì la coalizione ha preso il 36% dei voti, contro il 37% del centrodestra, e l'alleanza Verdi-Sinistra ha ottenuto il 4,8% del totale. Un dato superiore alla media nazionale, ma che potrebbe non essere sufficiente a eleggere Civati.
Nel Partito democratico, la quasi-ex-senatrice Monica Cirinnà non ha trovato la rielezione. Cirinnà sapeva di essere candidata in un collegio complicato, quello di Fiumicino, cosa che ad agosto l'aveva spinta in un primo momento a rinunciare alla candidatura. Aveva poi cambiato idea, ma non è riuscita a superare Ester Mieli del centrodestra. Allo stesso modo, Carlo Cottarelli (centrosinistra) è arrivato alle spalle di Daniela Santanché (centrodestra) nel collegio di Cremona. In uno dei pochi collegi uninominali vinti dal centrosinistra, invece, Pier Ferdinando Casini ha ottenuto il 40% dei voti a Bologna e ha impedito che a essere eletto fosse Vittorio Sgarbi, che a sua volta non potrà essere "ripescato" nei collegi plurinominali perché il suo partito, Noi Moderati, non ha raggiunto nemmeno l'1% dei voti.
Sempre nel centrodestra, a non tornare tra i banchi del Senato sarà Simone Pillon. Inserito nella lista plurinominale della Lega in Umbria, l'ormai ex senatore non riavrà il suo seggio. Lo ha comunicato lui stesso sui social: "Il centrodestra ha vinto e questa è una grande notizia. Il mio seggio non è scattato ma io non mi arrendo", ha detto. "Resto a disposizione della Lega e del centrodestra e continuerò a difendere la vita, la famiglia e i valori cristiani dove e come Dio vorrà. Avanti con coraggio".
Tra gli schieramenti minori quello di Gianluigi Paragone, Italexit, resterà fuori dal Parlamento. A livello nazionale, il paritito si è fermato subito sotto il 2% dei voti. "La nostra scommessa era superare la soglia di sbarramento. Speravamo in un'affluenza decisamente superiore. Non credo sia un bene per la democrazia un'affluenza così bassa”, ha detto nella notte Paragone. Anche Unione popolare, lista di sinistra radicale guidata da Luigi De Magistris, non ha raggiunto la soglia del 3%: il numero quasi definitivo, anzi, si ferma sotto l'1,5% a livello nazionale. Infine Alternativa per l'Italia, partito guidato da Mario Adinolfi e l'ex CasaPound Simone Di Stefano, si è fermato abbondantemente sotto la soglia di sbarramento: il dato finale è tra lo 0,05% e lo 0,15% a livello nazionale.