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Elezioni politiche 2018

Elezioni 2018, Minniti: “Adesso il Pd rischia di scomparire, il pericolo è l’irrilevanza politica”

Secondo il ministro dell’Interno Marco Minniti adesso il rischio per il Pd è quello di scomparire: “Per la prima volta c’è una drammatica fibrillazione del cuore pulsante della sinistra riformista. Il rischio vero si chiama irrilevanza politica del Pd. Per la prima volta il rischio di non farcela sta diventando consistente”.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il risultato del Pd alle elezioni politiche del 4 marzo non lascia possibilità di interpretazioni e il giudizio del ministro dell’Interno Marco Minniti è netto. Ma ora c’è un altro problema da affrontare per il Partito Democratico: “Si chiama irrilevanza politica. Per la prima volta il rischio di non farcela sta diventando consistente”, afferma in un’intervista alla Stampa. Ciò che si deve evitare, per il ministro dell'Interno, è che il Paese si basi su una alternativa solamente tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Minniti parla ancora di una “rottura sentimentale” del Pd con il Paese e crede che Renzi abbia fatto bene a dimettersi. E su un’altra cosa è certo: non sarà in campo tra coloro che vogliono guidare il partito.

Minniti parla di sconfitta storica per la sinistra. “Per la prima volta – argomenta – c’è una drammatica fibrillazione del cuore pulsante della sinistra riformista: Emilia-Romagna, Umbria, Marche, in parte in Toscana. Tutto questo non era mai accaduto e significa che la fibrillazione del cuore riformista può alludere ad un collasso. Ancora non ci siamo, ma il rischio vero si chiama irrilevanza politica del Pd. Per la prima volta il rischio di non farcela sta diventando consistente”. Il timore è che si venga a creare una situazione come quella del 4 marzo, quando “chi era contrario a Salvini ha votato Di Maio e chi era contrario a Di Maio ha votato Salvini. Dobbiamo evitare che questa alternativa diventi stabile in Italia”.

La sinistra non ha perso voti a sinistra, secondo il ministro dell’Interno che cita il deludente risultato di Liberi e Uguali: “Siamo molto lontani da quel risultato a due cifre del quale si era parlato. Mentre le forze populiste, con un atteggiamento dichiaratamente euroscettico, hanno sfiorato il 55%: non c’è nessun Paese europeo con queste percentuali. La coalizione che ha appoggiato Orban in Ungheria ha raggiunto il 44”.

La sconfitta del Pd viene motivata da quella che Minniti definisce una “rottura sentimentale col Paese: mentre eravamo impegnati in un processo di ricostruzione, non abbiamo trasmesso il senso di un Paese che doveva cambiare. Tutto questo ha lasciato vuoto il campo del cambiamento. Non abbiamo fatto i conti con due sentimenti forti nelle moderne democrazie: da una parte la rabbia degli esclusi (i giovani e non solo loro), dall’altra la paura di ceti importanti della società”.

Le dimissioni di Renzi

Secondo Minniti, Renzi ha fatto bene a dimettersi da segretario del Pd: “Di fronte ad una sconfitta, una leadership si assume le sue responsabilità davanti al suo popolo, sapendo perfettamente che non sono tutte sue. Conoscendolo so che la sua decisione è frutto di un travaglio individuale, come è giusto che sia. Non ho mai creduto che questo travaglio potesse essere considerato post-datato. Lui è – e resta – un pezzo importante del Pd. È evidente che le responsabilità non sono solo sue”.

Il ministro dell’Interno esclude di poter guidare il Pd: “Non ci penso nemmeno”, risponde. “Il mio è un compito maieutico: tirare fuori la verità con le tenaglie da ciascuno. Non possiamo accontentarci di una discussione edulcorata. Quando si perde, non si media, ma ci si confronta duramente. Da quello nasce il nuovo. Non mi interessa trovare un punto di equilibrio: ora occorre trovare le ragioni della sconfitta e riprendere il cammino. Tutto questo travolge il che faccio io?. Io vorrei che si togliesse questa espressione dal nostro vocabolario. Perché è la fine e non l’inizio di un processo. Anche questo è accaduto nel Pd: ogni tanto si è trasmesso il messaggio che l’inizio e la fine si riassumessero nell’espressione: Che faccio io?”.

Minniti contro un’alleanza con il M5s

Anche il ministro dell’Interno, come molti altri esponenti del suo partito, sembra chiudere a una possibile alleanza di governo con il MoVimento 5 Stelle: “Sarà una mia ignoranza, ma non ricordo un partito che – dopo aver perso le elezioni – si sia affrettato a discutere di alleanze: si tratta di una questione che interpella chi ha vinto e non chi ha perso le elezioni. Se un partito, dopo 5 anni di governo, passa dal 25 al 18,7%, è evidente che gli elettori non ti hanno incoraggiato a continuare. Sarebbe una serafica strafottenza ignorarli. E se lo fai, il loro voto lo perdi per sempre. Il nostro compito è discutere delle ragioni di questa sconfitta”.

Altro tema trattato da Minniti durante l’intervista alla Stampa è quello dell’antifascismo, di cui tanto si è discusso in campagna elettorale: “Ci sono valori come la libertà e l’antifascismo che sono molto importanti, ma la mobilitazione è parsa alludere all’esito elettorale di Casapound e di Forza Nuova. abbiamo fermato questi due movimenti, sotto l’1%, ma non abbiamo visto il resto: mentre le forze populiste si stavano avviando a prendere il 55%, noi pensavamo che il problema fosse Casapound. È come se fossimo stati privi di connessione con la realtà”.

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