Una federazione di liste centriste. Un serrate le fila al fronte dei moderati (trasversale agli schieramenti). Un programma europeo ed europeista con la rivendicazione di quanto fatto in dodici mesi e con la riproposizione delle riforme saltate a causa dell'ostruzionismo dei partiti. Un appello agli italiani, sotto forma di manifesto programmatico – ideologico, per raccogliere adesioni e mobilitare l'elettorato di riferimento. Insomma, Mario Monti rompe gli indugi e sceglie di calarsi completamente nella contesa politica. Federando le liste di centro e rischiando la rottura con il PD di Bersani, ma soprattutto provando ad emarginare quel Silvio Berlusconi con cui, dopo la sostanziale sfiducia sul decreto sviluppo, ha ingaggiato un tesissimo duello sottocoperta.
A spingere Monti al grande passo sono considerazioni di "diversa rilevanza e provenienza". In primo luogo, come suggerisce Gentili sul Messaggero, "non può tirarsi indietro perché gli chiedono di restare in campo per assicurare continuità all'agenda di Governo le cancellerie internazionali, l'Italia che lavora e produce e persino da Oltretevere, da dove sarebbero arrivate benedizioni decisive ed importanti". Poi c'è la necessità di "rompere il bipolarismo", dando una casa degna ai moderati italiani, concretizzando e valorizzando il lavoro degli ultimi mesi di Casini e Montezemolo prima di tutto, ma anche dando uno sbocco politico alle migliori energie dell'esecutivo tecnico. Infine c'è soprattutto la possibilità estremamente concreta di un pareggio sostanziale alle urne, che renderebbe tecnicamente decisivi i voti ed i seggi dei centristi (al Senato ovviamente) e "politicamente" irrinunciabile una figura di garanzia a guidare la prossima legislatura. A questo quadro poi si aggiungono altri elementi, per così dire, "accessori", come la volontà di depotenziare il "ritorno" di Berlusconi e allo stesso tempo di arginare la vittoria di un centrosinistra forse per la prima volta "spostato a sinistra", sia dal punto di vista della rappresentanza che da quello dei programmi (e non è un caso che, nell'ipotesi di un accordo post – elettorale a restare fuori potrebbe essere la componente vendoliana). Insomma, per concludere, Monti ha tutte le ragioni per restare in campo. E, del resto, per citare Flores D'Arcais: "Monti non è Cincinnato". E non era lecito aspettarsi altro.