"I renziani hanno copia del regolamento. Basta che lo leggano". Se Nico stumpo chiude in questo modo la questione su eventuali modifiche al regolamento (che permetterà di votare per il secondo turno delle primarie solo chi ha preso parte al primo, o chi si registrerà agli uffici territoriali tra giovedì e venerdì, fornendo "una valida giustificazione"), la partita sull'esito finale del duello fra Renzi e Bersani resta in ogni caso aperta. Troppo esiguo il vantaggio del segretario del PD e troppe variabili da prendere in considerazione per far dormire sonni tranquilli ai bersaniani.
Il distacco – Le cifre ufficiali parlano di 9,4 punti percentuali fra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, poco più di 290mila voti. Secondo alcune ricostruzioni dei comitati del Sindaco di Firenze, invece, i due sarebbero separati "soltanto" da un 5%, circa 150mila voti. In ogni caso un divario recuperabile, non soltanto in considerazione dei quasi 500mila elettori che hanno preferito Nichi Vendola. Infatti, il primo vero obiettivo dei candidati è quello di riconfermare i "loro" consensi, anche perché difficilmente (salvo un boom di registrazioni) al secondo turno voteranno ancora 3 milioni di persone. È lecito in effetti attendersi un'affluenza di poco superiore ai due milioni, forse due milioni e mezzo. Dunque, primo obiettivo: motivare i propri elettori. Ecco il senso della "soddisfazione" bersaniana: il segretario sa bene che Reggi (il coordinatore della campagna di Renzi) non ha tutti i torti nel parlare di "euforia non obiettiva, perché con quelle forze avrebbe dovuto prendere il 90%", ma è chiaro che deve abbozzare ed ostentare tranquillità.
Le regole – C'è però un fattore che gioca in favore di Bersani e che può risultare determinante: il regolamento. Anche perché da questo punto di vista il segretario è inattaccabile e le polemiche della componente renziana potrebbero avere un effetto boomerang. È Bersani ad aver voluto con forza le primarie, garantendo la deroga per Renzi e spingendo per il ballottaggio che lascia ancora aperta la partita. Le regole erano già note da tempo, chiedere di cambiarle ora ha davvero poco senso. Soprattutto dopo il risultato del primo turno.
L'appoggio dei dirigenti del partito – Al primo turno sembrava che il poter contare sulla stragrande maggioranza dei parlamentari e della classe dirigente territoriale potesse essere il fattore decisivo per una netta vittoria di Bersani. Non è stato così, anzi la presenza compatta dei "vecchi" dirigenti nello schieramento bersaniano è servita a Renzi per catalizzare i consensi di scontenti e delusi, anche e soprattutto a livello territoriale. E allo stesso tempo non ha portato un "corrispondente numero di voti", segno evidente di una perdita di incidenza e della necessità di ripensare in maniera critica i "flussi di consenso" (almeno in determinate aree del Paese). Uno scollamento, tra base e dirigenti, di cui si era accorto lo stesso Bersani, tanto che negli ultimi giorni di campagna elettorale, più che a parlamentari ed influencer, aveva dato spazio ai volontari ed ai "volti nuovi" della sua macchina organizzativa. Insomma, comunque vadano le cose, la sensazione è che la "resa dei conti" interna ai democratici sia appena cominciata. E, sia detto per inciso, disaggregando i voti non mancheranno le sorprese…
I voti di Nichi Vendola – Chi gestisce i voti del leader di Sinistra Ecologia e Libertà? Quanti di coloro che hanno votato per lui si recheranno alle urne per scegliere fra Renzi e Bersani? Quesiti aperti ai quali, con buona probabilità non riusciremo a rispondere nemmeno dopo il turno di ballottaggio. Perché "teoricamente" si tratta di elettori più vicini a Bersani che a Renzi (almeno per quanto concerne scelte programmatiche), ma che allo stesso tempo accettano con estrema riluttanza "compromessi al ribasso" e con buona probabilità sceglieranno di astenersi. Probabilmente a meno che Vendola non si spenda in prima persona. O a meno che Renzi non si giochi le sue carte fino in fondo, magari spingendo sulla questione generazionale o sulla sua opposizione ad ogni apertura nei confronti dell'Udc. Per ora di sicuro c'è solo un appuntamento elettorale con Vendola e Bersani a Napoli, una delle città in cui Renzi ha ottenuto il minor numero di consensi.
Il voto del Mezzogiorno – Se Renzi non recupera almeno parzialmente il gap nel Mezzogiorno non ha alcuna possibilità di portare a casa la vittoria. È bene aver chiaro fin da subito questo dato, anche perché è molto difficile ipotizzare un ribaltamento della situazione. Pur ammettendo che nel Mezzogiorno "non sia scattato il voto di opinione" (non abbiamo ben chiaro il motivo di tale constatazione, rilanciata più e più volte nei primi commenti), Renzi deve in ogni caso fare i conti con lacune nella macchina organizzativa e con una certa "lontananza" dal territorio, non fosse altro che sul piano della riflessione programmatica. In tal senso un grosso aiuto gli era arrivato dal Manifesto della classe dirigente meridionale per Matteo Renzi, ma il ritardo accumulato rispetto ad un Bersani, che per di più può contare sulla quasi totalità dei dirigenti territoriali (il cui operato in alcune zone è ancora determinante) è comunque considerevole. Insomma, al momento è sulla rimonta nel Meridione che lo staff del Sindaco di Firenze è chiamato a lavorare. Il più in fretta possibile.
Il confronto televisivo – Detto con estrema franchezza: il confronto televisivo è una delle più grande incognite di questi giorni. Non perché non conti, anzi. Quanto piuttosto perché dopo settimane, forse mesi, di campagna elettorale le posizioni sono note e non c'è da attendersi colpi ad effetto, in stile "abolizione dell'Ici", tanto per capirci. I due contendenti sono però chiamati ad un duplice sforzo: ri(chiamare) alle armi i propri sostenitori e restituire un'immagine di autorevolezza e solidità. Senza litigare, per giunta. Lo ripetiamo, dalla capacità di confermare i consensi del primo turno dipende il risultato finale del ballottaggio, ma nessuno può pensare di vincere "mortificando" il proprio avversario, attaccandolo a testa bassa e restituendo all'esterno l'immagine di un partito percorso da una grande tensione. Insomma, il PD prima di tutto.