Come aveva testimoniato in modo lampante l'incontro durante le consultazioni fra Beppe Grillo e Matteo Renzi, quello che si prospetta è un veramente uno scontro frontale fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. In Aula il Governo sa di doversi aspettare il "Vietnam parlamentare" in stile Imu – Bankitalia e sui media Renzi e Grillo se le daranno di santa ragione, come già hanno fatto in passato del resto. Nel Paese poi la contrapposizione fra militanti grillini e democratici è storia vecchia, dopo qualche flirt sui contenuti e troppe divergenze di merito. Soprattutto, c'è la constatazione del fatto che le posizioni sembrano cristallizzate, come ha testimoniato anche lo scambio di bigliettini fra Renzi e Di Maio, ormai risalente a qualche settimana fa.
In questo clima, ci sono anche i numeri a regalare un ulteriore spunto di riflessione, sempre risicati al Senato. E ci sono ovviamente i precari equilibri interni alla maggioranza, con le tensioni per ora solo anestetizzate dal presenzialismo del Presidente del Consiglio e dall'incombere della campagna elettorale per le elezioni europei. La consapevolezza comune dei due contendenti è che si tratti di un voto decisivo, soprattutto per gli equilibri interni (fermo restando che Renzi resterà in sella, comunque vadano le cose).
Il clima da resa dei conti di questi giorni è dunque indicativo di quanto i due si rendano conto della rilevanza dell'enorme valenza, anche simbolica, della posta in gioco. Il punto è che l'approccio riflette quelli che sono i ruoli stabiliti: da una parte Renzi che, forte della posizione privilegiata e del sostegno (diretto o indiretto) di gran parte dei mezzi di comunicazione, guida le danze con provvedimenti e annunci (per la verità spesso le cose si sovrappongono, leggere per credere), dall'altra Grillo che insegue rabbioso, alzando il tiro della polemica tra una contestazione di merito e un insulto gratuito. E proprio questa situazione sembra porre il leader del Movimento 5 Stelle in una posizione decisamente scomoda: quella dell'inseguitore che, impossibilitato a colmare la distanza, se la prende con arbitri e regolamento e rischia di litigare anche con i propri tifosi.
Accade così che il Movimento 5 Stelle sia costretto ad alzare il tiro ed operare distinguo difficilmente comprensibili all'opinione pubblica sul bonus Irpef, sulla legge sul voto di scambio, sul taglio dell'Irap. Non che non sussistano valide obiezioni di senso, sia chiaro, ma si tratta sempre di una accentuazione della pars destruens del Movimento, che è poi la caratteristica che Renzi enfatizza. Il rischio che Grillo corre è cioè di restituire l'immagine di un dualismo, in cui al M5S tocca il ruolo più scomodo. Da una parte i "riformatori", dall'altra i "guardiani della conservazione"; da una parte chi "rimette i soldi nelle tasche degli italiani", dall'altra chi "si fida di un comico milionario ed è contro agli 80 euro al mese"; da una parte chi "in poche settimane ha abolito le province, fatto la legge elettorale e ridisegnato il Senato" (poi la realtà sarebbe diversa eh), dall'altra chi "sa sempre e solo dire no". Poco importa che la realtà sia appunto molto più complessa e piena di sfumature nella ricostruzione renziana: in campagna elettorale tutto è lecito, verrebbe da dire.
Il punto è che il Movimento 5 Stelle sta dando una buona mano al Presidente del Consiglio, dedicandosi (quasi) esclusivamente alla confutazione del suo operato e lasciando pochissimo spazio alla parte programmatica, come evidente dalla pochezza formale e sostanziale dei 7 punti programmatici per l'Europa. E affidandosi allo stesso meccanismo degli annunci e degli slogan cui invece dichiara di opporsi sia concettualmente che idealmente. Una scelta che sta certamente consentendo al M5S di compattare il suo elettorato e, presentandosi come unico reale oppositore al Governo, catalizzare tutti i voti in dissenso, ma che alla lunga potrebbe rivelarsi penalizzante in termini assoluti. È lo stesso errore fatto per anni dal centrosinistra nei confronti di Berlusconi, con il risultato di una ventennale subalternità, che rischia di replicarsi ora. Soprattutto se la riflessione di senso su programmi ed idee dovesse continuare ad essere messa in secondo piano (c'è invece il gran lavoro di parte dei parlamentari 5 Stelle che potrebbe essere sfruttato), in ragione di annunci – spot (pensiamo a questione euro e fiscal compact ma non solo). Servirebbe cioè mostrare di essere pronti a governare il Paese, non solo a litigare col Messia di Firenze.