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Opinioni

“E tu di che razza sei?” l’assurda domanda rivolta ai ragazzi in un centro per DSA

“Indicare la razza del bambino o del ragazzo” è la richiesta contenuta in un modulo che una famiglia si è vista consegnare in un noto centro di neuropsichiatria infantile di Milano, e che i genitori hanno fatto avere a Fanpage.it perché facesse luce sull’episodio. Abbiamo così deciso di seguire le tracce di quel modulo, e capire perché venisse usata la parola “razza”, palesemente discriminatoria.
A cura di Saverio Tommasi
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Il modulo con la parola "razza"
Il modulo con la parola "razza"

Indicare "gruppo etnico o razza" è la richiesta contenuta in un questionario dell'Istituto Dosso Verde di Milano, e rivolta ai genitori di un ragazzo di 14 anni, che si era presentato al centro insieme al padre per la valutazione di un possibile DSA (Disturbo Specifico dell'Apprendimento).

Partiamo dall'inizio: a Fanpage.it scrive mamma Chiara, ha un figlio di nome Edoardo, i nomi sono inventati perché "le visite e la valutazione di Edoardo sono ancora in corso".

"Sono rimasta basita", ci racconta la mamma "mi chiedo come un centro di riabilitazione neuropsichiatrica infantile possa usare le parole con tanta superficialità. Si tratta di un posto dove si fanno diagnosi delicate, è possibile che ci si debba sottoporre anche a una domanda così offensiva e irrispettosa?". Continua mamma Chiara: "La domanda sulla razza è una delle prime a cui noi – e tantissimi altri – ci siamo trovati a rispondere".

Cerchiamo di vederci chiaro: ci facciamo inviare il testo, che potrebbe essere una traduzione malfatta dall'inglese, sono test per terapie sviluppate negli Stati Uniti d'America, dove questa classificazione "per razza" viene richiesta per legge, ancora oggi, ma da noi la parola ha una valenza chiaramente discriminatoria. "Possibile che nessuno l'abbia notata? La mia paura" conclude la mamma "è che siano protocolli utilizzati anche da tanti altri Istituti".

Cerchiamo di capire meglio e chiamiamo l'Istituto Dosso Verde. Alle prime due telefonate la dottoressa responsabile è impegna "però la richiamerà subito", poi non richiama, poi la terza volta me la passano.
La dottoressa conferma che loro usano quel modulo, "sì, lo abbiamo dato noi" ma "non è noi che dovete sentire, ma chi ha curato la traduzione delle domande e cioè "La Nostra Famiglia" di Bosisio Parini (LC)".
In altre parole: l'Istituto Dosso Verde di Milano sa della domanda contenente la richiesta della "razza" del bambino nei moduli che utilizza, però continuava comunque a distribuire quei moduli ai familiari. "Non siamo i soli, lo fanno tutti i centri di neuropsichiatria infantile d'Italia", conclude la dottoressa al telefono. La questione sembra ingigantirsi, così Fanpage.it decide di chiamare "La Nostra Famiglia", che ha curato la traduzione delle domande relative alla ricerca di una diagnosi per un eventuale disturbo del bambino o del ragazzo.
Parliamo direttamente con il medico responsabile di "La Nostra Famiglia": "Sì, quei moduli li abbiamo distribuiti noi però è una traduzione vecchia, superata, li abbiamo rifatti con una traduzione più giusta e corretta".
Chiedo quale sia e mi invia il nuovo modulo: al posto di "etnia o razza" si legge "nazionalità" e tra parentesi "facoltativa".
"E allora il modulo che abbiamo visto noi?" chiedo.
"Ormai da tempo distribuiamo quelli nuovi, però è vero che i vecchi moduli non li abbiamo mai ritirati, ed è possibile che alcune strutture neuropsichiatriche usino ancora quelli, come lei mi dice".

Questa è la storia di un modulo e di una parola, "razza", assai discriminatoria.
L'unica razza di cui una persona può far parte è la "razza umana".

Siamo fiduciosi che i vecchi moduli verranno presto ritirati e sostituiti con quelli nuovi, del resto già esistenti e più umani.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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