Tutta colpa di Silvio Berlusconi. O merito, a seconda delle preferenze. Già, perché il modo in cui il Cavaliere ha gestito finora la partita del Quirinale ha determinato lo stallo attuale, che vede una situazione di grande incertezza a poche ore dal primo scrutinio per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Perché rinunciare a una proposta di candidatura che nessuno aveva mai realmente sostenuto, senza indicare un’alternativa né aprire un tavolo per trovarla (anzi millantando una presunta maggioranza raccattata tra i grandi elettori), non ha certamente contribuito a rasserenare il clima e a unire quello che, numeri alla mano, dovrebbe essere il gruppo di maggioranza relativa. Il centrodestra non è mai stato così diviso, insomma, e il modo in cui è stato gestito l’affaire Berlusconi lo ha reso evidente.
Non è un caso che, come riportano le cronache di queste ore, il più attivo dopo il vertice di ieri sembra essere Matteo Salvini. Il leader leghista deve giocare su più livelli: quello interno a un partito diviso fra chi sposa la sua linea, chi vuole usare il Quirinale per strappare con Draghi e chi semplicemente vuole prendere il suo posto; quello interno alla coalizione di centrodestra, tra le paturnie di Berlusconi e le ambizioni di Meloni; quello che regola gli equilibri del governo, il cui stravolgimento rischia di cambiare volto a questa e alla prossima legislatura. Tenere insieme tutto è operazione complessa, perché richiede che per il Colle sia individuato un profilo che trovi l’apprezzamento degli alleati, ma non inviso al centrosinistra, la cui elezione non abbia eccessive ripercussioni sul governo, ma che allo stesso tempo dia ampie garanzie per la prossima legislatura. E che, soprattutto, abbia la granitica certezza di passare alla prova dei voti, superando indenne i battaglioni di franchi tiratori che si annunciano più agguerriti che mai.
È noto da tempo che la carta di Matteo Salvini risponda al nome di Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato. Un profilo istituzionale ma proveniente dal centrodestra; una donna di grande esperienza, già sostenuta in passato dal Movimento 5 stelle e che libererebbe una poltrona per il Pd; una creatura politica di Silvio Berlusconi (al netto dei rapporti odierni che non sembrano più eccellenti), ma non invisa a Meloni, anche per alcune scelte operate nel corso della sua reggenza a Palazzo Madama. Un’indicazione di questo tipo, poi, costringerebbe Mario Draghi a restare a Palazzo Chigi, cosa che probabilmente non avverrebbe nel caso in cui la scelta cadesse su un nome “terzo”. Il ragionamento di Salvini è semplice: la Presidente del Senato è figura di altissimo rilievo istituzionale e rappresenterebbe alla perfezione il contesto politico attuale, che vede un’ampia maggioranza a sostegno dello sforzo di Mario Draghi di gestire fase di uscita della pandemia e attuazione del Pnrr. La parola chiave è garanzia: di prosecuzione della legislatura, di indicazione condivisa per il Colle, di conferma degli attuali assetti istituzionali e di governo, di gestione della transizione verso le prossime elezioni e della nuova fase politica che verrà.
Casellati Presidente della Repubblica, perché no
Tutto così semplice e lineare, dunque? Ovviamente no, neanche per idea. Ci sono un bel po’ di problemi nei ragionamenti che disegnano come già tracciata la strada di Casellati verso il Quirinale. Cominciamo da quello collaterale: la concorrenza. Perché la rosa dei nomi non sarà forse molto ampia, ma ci sono nomi di grande peso (Casini, Belloni, Cartabia e Moratti su tutti), che per tante ragioni sono più graditi sia al Cavaliere che a Meloni. E c’è lui, ovviamente. Non è un mistero che Draghi punti al Colle, né che abbia un consenso trasversale in Parlamento e sponsor di grande peso a livello internazionale. Una non candidatura che è ancora la candidatura più forte al momento, malgrado le perplessità di Conte e dello stesso Salvini. I retroscena delle ultime ore rilanciano un nervosismo di Draghi per soluzioni che non prevedano tale epilogo, paventando addirittura che possa lasciare Palazzo Chigi “comunque vadano le cose”. Come detto, per scongiurare questo scenario servirebbe che l’elezione di Casellati avvenisse con un consenso davvero ampio e con un processo lineare.
Tradotto: ampia maggioranza, meglio se in uno dei primi tre scrutini. È questo il vero problema della candidatura Casellati: non sembra avere la forza di imporsi con un quorum alto e difficilmente può essere riciclata come candidatura di schieramento dopo il terzo scrutinio (perché ovviamente nessuno può correre il rischio di vedere la Presidente del Senato impallinata dai franchi tiratori). Esiste una candidatura Casellati solo come soluzione istituzionale: insomma, come frutto di un accordo politico che al momento non c’è ancora e non sappiamo se possa mai esserci.
Pd e Movimento 5 Stelle, infatti, guardano con preoccupazione all’elezione di un nome di area centrodestra al Quirinale. Il ragionamento è sempre lo stesso: con la più che probabile vittoria alle prossime politiche di un centrodestra a trazione Salvini – Meloni, Conte e Letta puntano a una figura che sappia fare da contrappeso istituzionale e considerano Casellati garanzia non sufficiente. Pesano non solo le tante critiche raccolte in questi anni dalla Presidente del Senato, ma anche la presenza sullo sfondo di nomi ritenuti più autorevoli e in grado di costituire un argine a un eventuale governo sbilanciato a destra. Eleggere un Presidente della Repubblica pensando alle contingenze politiche è operazione discutibile, ovviamente, ma in fondo è ciò che avviene da sempre e anche la candidatura Casellati risponderebbe a tale logica.