È morto Alberto Franceschini: era stato tra i fondatori delle Brigate Rosse

È morto Alberto Franceschini, tra i fondatori delle Brigate Rosse. Il decesso è avvenuto lo scorso 11 aprile ma è stato reso noto solo oggi. Franceschini si è spento a 78 anni. Con Renato Curcio e Mara Cagol ha fatto parte del nucleo originario delle BR. Nato nel 1947 a Reggio Emilio da una famiglia di fede comunista, entra nella FGCI per poi lasciarla all'indomani dell'autunno caldo del 1969. Nel 197o arriva a Milano dove fa la scelta della lotta armata, entrando in clandestinità l'anno successivo.
Sarà uno dei leader storici delle Brigate Rosse. Nel 1974 organizza il rapimento del giudice Mario Sossi, che sarà rilasciato dai brigatisti probabilmente proprio per l'opposizione di Franceschini al suo omicidio. Nel 1974 sarà tra i protagonisti dell'assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Zabarella a Padova dove saranno uccisi Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Per il "concorso anomalo" nel duplice omicidio sarà processato e condannato in via definitiva a 18 anni di carcere.
Sarà arrestato proprio nel 1974 insieme a Renato Curcio a Pinerolo. Nel 1982 si dissocerà, senza mai pentirsi, dalla lotta armata. In precedenza aveva rivendicato il rapimento di Aldo Moro da dentro il carcere insieme agli altri brigatisti storici. Nel 1987 ottiene i primi permessi premio, per poi lasciare definitivamente il carcere nel 1992 lavorando nel mondo del sociale e della cooperazione. Prima della dissociazione, nella seconda metà degli anni Settanta, è tra quelli che conduce in prima persona la linea dura contro chi prende le distanze dall'organizzazione e dalla lotta armata dentro le carceri. Sono gli anni anche in cui la rottura con Mario Moretti – che era diventato il leader delle BR dopo l'arresto suo e di Curcio – diventerà insanabile, portandolo ad aderire al Partito Guerriglia di Senzani.
Franceschini dall'inizio degli anni Ottanta aveva iniziato a prendere le distanze dall'esperienza delle Brigate Rosse, per poi considerarla definitivamente conclusa al momento della sua dissociazione. Pur non collaborando con l'autorità giudiziaria nell'indicare le responsabilità di altri brigatisti, il suo "pentimento" è stato considerato sincero dai giudici. Anche pubblicamente, negli anni successivi, ha sempre parlato in modo critico della sua esperienza nella lotta armata, prendendo nettamente le distanze dal gruppo degli irriducibili e ovviamente da chi nei decenni successivi ha pensato di rendere di nuovo attuale la lotta armata in Italia.