Riassunto delle puntate precedenti. In vista del prossimo inverno non sappiamo se riusciremo a scaldare le nostre case perché siamo dipendenti dagli idrocarburi di un dittatore che ci ricatta chiudendo i rubinetti del gas se non accettiamo l’idea che possa invadere impunemente un Paese confinante. Nel frattempo, le temperature sono oltre ogni record, non piove da mesi e gli agricoltori dicono che rischiano di perdere il 75% del loro raccolto. Nel frattempo, gli incendi stanno già devastando i nostri boschi, i ghiacciai oltre a sciogliersi si stanno staccando dalle montagne mettendo a rischio l’incolumità delle persone, com’è accaduto sulla Marmolada. E tutto questo senza nemmeno alzare lo sguardo oltre i confini dell’Italia, ché tra incendi indomabili in California, caldo record nel Regno Unito ed eventi climatici estremi in Cina, nel resto del mondo va pure peggio.
Meno male che stanno arrivando le elezioni politiche, penseremmo, se vivessimo in un Paese normale. Perché almeno, nonostante tutto il resto, arriverebbero nel momento migliore, proprio quando abbiamo sotto agli occhi gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Perché in quel Paese normale, in un qualunque Paese normale, tutto questo non sarebbe UN tema della campagna elettorale, ma IL tema: l’unico su cui misurare l’idoneità delle forze politiche a governarci nei prossimi cinque anni.
È IL tema, e non eccediamo in enfasi, perché si porta dietro tutti gli altri. Se vuoi risolvere la questione energetica e provare a contare qualcosa a livello geopolitico, devi porti il tema delle fonti rinnovabili, dell’emancipazione dagli idrocarburi. Se vuoi rilanciare la tua economia, devi cogliere le opportunità e minimizzare le minacce di un mondo a impatto zero. Se vuoi risolvere la questione delle migrazioni alle radici, devi affrontare la questione degli effetti sui cambiamenti climatici, dagli eventi atmosferici estremi sino alle carestie, nei Paesi a essi più esposti, in Africa. E se vuoi parlare di equità sociale, devi necessariamente porti il problema di chi deve pagare la transizione ecologica, se i più ricchi o i più poveri.
Sono questioni enormi, che dovrebbero riempire pagine di programmi e ore di dibattiti tra chi legittimamente la pensa in modo differente. E invece zero. L’inizio di questa campagna elettorale, perlomeno, va in tutt’altra direzione. La destra sta rispolverando tutto il suo armamentario ideologico sulla tolleranza zero agli sbarchi di clandestini e sull’ideologia gender che contamina le scuole. La sinistra sta agitando il pericolo nero di Giorgia Meloni e dei legami di Fratelli d’Italia con la galassia dei movimenti neo fascisti. Al centro ci si accapiglia tra chi sia il depositario di una fantomatica “agenda Draghi” per capitalizzare il consenso del Presidente del Consiglio. Ovunque si parla di alleanze, di candidature, di chi fa il premier. Nessuno parla di clima, di ecologia, di transizione, di ambiente, di ecologia. E i pochi che ne parlano non trovano spazio sui media.
La diciamo brutale, sperando di non passare per qualunquisti: se questo è l’andazzo, può vincere chiunque che non cambia davvero nulla, o quasi. Perché se non c’è la consapevolezza che la lotta al cambiamento climatico, sia e debba essere la priorità dei prossimi cicli politici, allora non si è davvero capito nulla del mondo in cui siamo e dell’emergenza che stiamo vivendo. Ed è difficile, ne converrete, che chi non capisce questo problema abbia le idee e gli strumenti per venirne a capo.