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È Draghi ma sembra Conte: tra litigi e rinvii, Omicron manda in tilt il governo

Il Consiglio dei Ministri si riunisce fino a tarda sera e litiga sulle nuove misure contro il Covid. Alla fine, viene fuori una decisione a metà e su Super Green Pass a lavoro e obbligo vaccinale è tutto rimandato a Gennaio. Sembra di essere tornati alla fine del 2020, quando il governo Conte inseguiva il virus. Il racconto di uno dei giorni più difficili dell’era Draghi.
A cura di Marco Billeci
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La notizia è che su Roma si è fatta sera e a palazzo Chigi il Consiglio dei Ministri è ancora in corso. Non è un dettaglio. Nella gestione della pandemia, fino ad oggi, Draghi aveva voluto tracciare un solco rispetto al suo predecessore: basta ai Cdm fiume che si concludevano con il buio, basta trasmettere al Paese una sensazione di ansia, come se l’emergenza fosse incontrollabile. “Ci risiamo, una cosa così non si vedeva dai tempi di Conte”, dice sconsolato uscendo dal cancello di palazzo Chigi un funzionario della presidenza del Consiglio. È la tarda sera del ventinove dicembre e stiamo tutti aspettandole nuove misure del Governo per affrontare l’emergenza Covid. Di nuovo.

Sulla riunione del governo è piombato a fine pomeriggio il bollettino giornaliero dei contagi: oltre 98mila, a un passo dalla tripla cifra. “Dovremmo chiudere tutto, ma non possiamo farlo”, ammette una fonte di governo. Il tracciamento ormai è saltato, l’affidabilità dei tamponi antigenici è molto limitata e con questo numero di infetti, anche la pressione sugli ospedali è destinata a salire. “Avremmo dovuto vietare gli spostamenti tra regioni dal 24 dicembre al 6 gennaio“, dice il deputato Pd Francesco Boccia, che l’anno scorso da ministro degli Affari Regionali del governo giallorosso applicò una misura di questo tipo.

Solo che chiudere non si può più, per ragioni economiche, ma anche di tenuta sociale. E allora il governo cerca delle soluzioni per non paralizzare il Paese, a fronte dell’aumento esponenziale dei positivi. Il fulcro della discussione riguarda le regole per la quarantena precauzionale di chi è venuto a contatto con un positivo. Da giorni le Regioni chiedono di eliminarla per i vaccinati, le autorità sanitarie sembrano contrarie. E invece no, al mattino il Cts si riunisce e dà il via libera all’abolizione,  ma forse solo per chi lavora nei servizi essenziali. Alle quattro e mezza, a palazzo Chigi, si riunisce la cabina di regia sul Covid, presieduta da Draghi. Dopo oltre due ore di riunione, i ministri partoriscono la decisione: via la quarantena per chi ha già fatto il terzo richiamo, rimane invece per i non vaccinati,  per chi è ancora in attesa della terza dose viene ridotta ma non cancellata.

Siamo attorno alle sette di sera, il Consiglio dei Ministri convocato per le sei e mezza è già slittato, altro fatto inusuale in epoca Draghi. La ministra degli Affari Regionali Gelmini si collega con le Regioni per illustrare la decisione e più di un governatore deve fare un salto sulla sedia, di fronte a una complicata soluzione a tre teste. Non è un caso che in quei minuti, il presidente del Lazio Zingaretti twitti: “Il Governo  faccia scelte semplici, con regole comprensibili e realmente attuabili”. Alla fine, l’esecutivo ascolterà il consiglio dell’ex segretario Pd e la metterà giù più semplice: in caso di contatto con positivo, d’ora in poi dovranno stare in isolamento solo i no Vax e chi ha fatto la seconda dose da più quattro mesi.

Prima che inizi il Cdm, però, succede anche un’altra cosa. Diversi ministri devono andare alla Camera per votare la fiducia sulla legge di bilancio. Nel frattempo, appunto, sono usciti i nuovi dati sui contagi: siamo alla soglia dei 100mila nuovi casi giornalieri. E dalle poche parole scambiate dai membri del governo con i cronisti a Montecitorio, si capisce che la discussione sulle quarantene è già storia vecchia. “Bisogna lavorare per rafforzare il Green Pass, vedremo in quale direzione, senza creare però delle sperequazioni”, spiega il ministro del Lavoro Orlando. Si ipotizza di estendere il certificato verde rafforzato anche ai luoghi di lavoro. La Lega però ha dubbi, dice Giorgetti. Il Movimento 5 Stelle idem. Da palazzo Chigi esce anche il ministro dell’Istruzione Bianchi. “Conferma che dopo le vacanze di Natale, la scuola ripartirà regolarmente?”, chiedono i giornalisti. Bianchi non risponde, lo fa per lui un’adolescente che passa in strada a fianco in quel momento: “Speriamo di no”.

Sono da poco passate le sette e mezza quando finalmente inizia la riunione del governo. Solitamente, quando il governo Draghi è stato chiamato a prendere misure contro il Covid, il Consiglio dei Ministri dura poco, il tempo di formalizzare le scelte concordate in precedenza, durante la cabina di regia. In questo caso, invece, la discussione si allunga per altre due ore. C’è chi chiede l’estensione del Super Green pass, chi spinge per l’obbligo vaccinale, chi frena. La narrazione di questi mesi vorrebbe che, nei casi in cui i partiti della maggioranza sono in disaccordo tra loro, alla fine prende la parola Draghi e mette un punto. Stavolta non va così: alla fine del lungo dibattito si decide di non decidere. Sull’estensione del Super Green Pass ai luoghi di lavoro o sull’obbligo vaccinale, la scelta è rimandata a gennaio, filtra da palazzo Chigi al termine del Consiglio. Dopo gli auguri di fine anno, il premier e i suoi ministri se ne vanno in silenzio, nessuna conferenza stampa per illustrare i nuovi provvedimenti, solo un comunicato che lascia diversi punti aperti.

All’inizio del 2022 ci attende quindi un altro decreto, con nuove norme anti Covid. Sarà il terzo, in meno di un mese. Sembra di essere tornati a poco più di un anno fa, quando tra fine ottobre e inizio novembre, il governo giallorosso fu costretto a intervenire per tre volte nell’arco di meno di venti giorni, per inseguire il virus, nel tentativo di piegare la curva dei contagi. Davvero, una cosa così non si vedeva dai tempi di Conte.

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