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Opinioni

Covid-19, è davvero game over?

Nelle ultime settimane la sensazione è quella di essere circondati da contagi e reinfezioni, mentre non accenna a diminuire il numero dei morti giornalieri. Allo stesso tempo, il governo decreta la fine dello stato di emergenza e nessuno sembra più preoccuparsi del Covid-19. Cosa sta succedendo?
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A metà gennaio, quando era ormai chiaro che l’ondata Omicron avrebbe determinato un aumento vorticoso dei casi in tutto il mondo, l’epidemiologo Tomas Pueyo scriveva un lungo pezzo dal titolo “Coronavirus: Game Over”. Essenzialmente, l’analista che con “The Hammer and the dance” aveva anticipato quella che sarebbe stata la nostra vita negli ultimi due anni, considerava Omicron come l’ultima ondata della quale avremmo dovuto preoccuparci, chiedendo che i governi occidentali ne prendessero atto e si preparassero a vivere i mesi successivi come i prossimi anni. L’idea che al minore rischio connesso a Omicron (o meglio, all’effetto combinato fra la nuova variante, l’elevato tasso di vaccinazione, una qualche sorta di immunità determinata dai precedenti contagi e la maggiore incisività dei trattamenti) dovesse corrispondere un allentamento pressoché totale delle misure restrittive era del resto condivisa anche da altri analisti, nonché dai principali consiglieri scientifici dei governi europei.

Questo orientamento, per la verità, in alcuni stati si è tradotto nella rinuncia pressoché completa a ostacolare i contagi, lasciando che Omicron si diffondesse liberamente e mettesse a dura prova i sistemi sanitari. Una scelta, quella di basarsi unicamente su vaccini e capacità di cura, che ha alleviato la pressione sui sistemi economici e, in parte, sull’opinione pubblica, causando però migliaia di decessi e di casi gravi molto probabilmente evitabili. È quanto accaduto anche in Italia, con il governo che ha tenuto in vita per mesi un sistema a colori ormai svuotato di senso e valore, non ha imposto misure per tamponare l'esplosione dei contagi nemmeno a cavallo delle feste natalizie e ha scommesso sulla tenuta del sistema sanitario, spingendo sulla campagna vaccinale con la leva del green pass.

Nei fatti, i governi occidentali hanno da mesi archiviato la lotta alla pandemia, dichiarando finita la stagione della Covid-19. Né i ripetuti appelli dell'Oms a valutare con grande attenzione la rinuncia completa alle misure restrittive, né l'emergere della nuova sottovariante di Omicron hanno determinato un'inversione di rotta. Di conseguenza, per l'opinione pubblica è comunque Coronavirus: game over.

Possiamo stare tranquilli, dunque?

Come probabilmente già saprete, in questi giorni stiamo assistendo a una ripresa della crescita dei casi in molte nazioni europee. La ragione principale risiede nella dominanza della variante BA.2 di Omicron, ancora più trasmissibile della precedente e con buona probabilità più capace di reinfettare soggetti che si erano ammalati in passato. Più che di quinta ondata, potremmo parlare di doppio picco dell’ondata Omicron, come evidenziato da questo grafico dell’analista del Financial Times John Burn-Murdoch.

Omicron ha una maggiore capacità di reinfettare le persone già colpite dalla Covid19, una spiegazione ulteriore della quantità di seconde infezioni di cui stiamo facendo esperienza in questi giorni. L'effetto combinato fra l'elevata escape della nuova variante e il calo dell'efficacia dei vaccini con il passare delle settimane, inoltre, rende più vulnerabili all'infezione anche le persone che hanno completato il ciclo vaccinale.

Nella lettura del direttore regionale per l’Europa dell’Oms Hans Kluge, questo quadro è stato complicato dalle decisioni di alcuni Paesi di eliminare le restrizioni in “maniera brutale, passando da troppo a troppo poco" e finendo con l'agevolare ulteriormente la diffusione del contagio. Come vi spiegavamo qui, si è trattato di una scelta consapevole, la resa all'infezione di massa come ultimo atto della strategia di approccio alla Covid-19. Abbiamo smesso di trattare la pandemia come una pandemia, dunque, accettando più o meno esplicitamente che "qualcuno dovesse morire". Ci siamo limitati a spingere in ogni modo le vaccinazioni, lasciando pagare ai no-vax le conseguenze della loro scelta e giudicando inevitabili centinaia di morti fra fragili e anziani completamente vaccinati.

I numeri, sono piuttosto eloquenti, soprattutto per quel che riguarda i decessi giornalieri, ancora nell'ordine dei 100-200:

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È importante capire, però che malgrado i dati sui decessi e le infezioni giornaliere, siamo in una situazione radicalmente diversa dalle precedenti. I vaccini si sono mostrati formidabili nel prevenire le forme gravi della malattia, i trattamenti medici standard si sono dimostrati molto efficaci contro Omicron e i nuovi farmaci stanno cominciando a incidere positivamente nel contrastare la Covid-19. Per l’effetto combinato delle vaccinazioni, del livello di immunità raggiunto dalla popolazione e dei miglioramenti sul piano del trattamento delle infezioni, l’IFR (infection fatality ratio, ovvero la proporzione di morti tra tutti gli individui infetti) di Omicron è sceso a livelli “simili” a quella dell’influenza stagionale.

Attenzione, è un dato che va interpretato con cautela e che da solo non ci consente di dire che “Omicron è come un’influenza”, men che meno “come un raffreddore”. L’IFR non basta a descrivere la pericolosità di una malattia; nel caso di Omicron, ad esempio, a incidere è l’enorme contagiosità, che moltiplica i casi e dunque incide sul numero assoluto delle vittime. Detto in modo più semplice, la maggiore trasmissibilità rende Omicron non comparabile con l’influenza stagionale perché determina un numero estremamente più alto di casi: anche ammesso che il tasso di letalità “sia diventato” simile, la mortalità resta molto più alta.

Peraltro, Covid-19 non è una malattia stagionale e Omicron, con ondate rapide e ricorrenti, ha estremizzato questo concetto, tanto che:

Cosa abbiamo imparato dalla lotta alla Covid-19

C'è un punto che va ribadito con forza. O meglio, che va difeso da una specie di revisionismo teso a bollare come inutili e dannose le politiche di contenimento dei contagi operati dagli stati fino all'arrivo di Omicron e, seppure in minima parte, anche nei mesi successivi. Le chiusure e gli interventi di mitigazione della trasmissioni, oltre che le pratiche di distanziamento sociale e di igiene individuale, ci hanno permesso di guadagnare tempo per vaccini e cure (es: Paxlovid), di salvare decine di migliaia di vite, di imparare a conoscere individualmente e collettivamente il virus. Molti governi occidentali hanno messo in campo con grave ritardo drastiche misure per salvaguardare la salute della popolazione, spesso ragionando in termini di bilanciamento dei costi economici e sanitari. Ciò è costato decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di ricoveri e casi con ogni probabilità evitabili, lo abbiamo scritto più e più volte. Altre nazioni hanno scelto approcci diversi, solo il tempo ci dirà quali siano stati i costi e i risultati. Di certo, la strada italiana ed europea del compromesso, definita “del rischio calcolato”, è stata tutt’altro che apprezzata dall’opinione pubblica, che ha perso fiducia nelle decisioni dei governanti e ha finito con l'assuefarsi a morti e ospedalizzazioni.

Concetti pericolosissimi come “pandemia dei non vaccinati” e “convivenza con il virus” hanno finito con l’intossicare le discussioni intorno alla Covid-19, alimentando confusione e paura, scetticismo e disillusione sulle capacità delle nostre autorità sanitarie di gestire la situazione. In Italia, fra i paesi al mondo in cui il virus ha fatto e continua a fare più vittime, dopo più di due anni siamo ancora alla navigazione a vista e non abbiamo alcun piano nel caso in cui la situazione dovesse mutare rapidamente. Dopo aver svuotato di senso il sistema a colori, trasformato uno strumento come il green pass in un feticcio ideologico e sfornato decreti in rapida successione senza razionalizzare le norme, il governo dei migliori sta fallendo anche nella gestione comunicativa della fase di transizione, incespicando su questioni di lana caprina alla ricerca di una difficile sintesi fra le diverse anime che compongono la maggioranza. L'impatto di tale incertezza sull'opinione pubblica è stato ed è devastante: a chi è stanco e arrabbiato per restrizioni e divieti, fa da contraltare chi è terrorizzato di non riavere più indietro la propria normalità, chi non riesce a riprendere le attività quotidiane o chi ritiene che tutto sia già come un tempo, che la pandemia sia già un ricordo.

Manca tanto una riflessione organica sulla gestione dei prossimi mesi e anni, quanto l'organizzazione su come prevenire o almeno minimizzare gli effetti delle future ondate. Già, perché l'evoluzione della crisi è ancora poco chiara. Qualche giorno fa, il virologo Christian Drosten, nel dirsi favorevole all’allentamento delle restrizioni dato l’attuale contesto, ribadiva come fosse indispensabile continuare a rimanere vigili e soprattutto a programmare il futuro. Nell’impossibilità o quasi di prevedere la gravità dello sviluppo della pandemia, occorre (ri)elaborare strumenti che ci permettano di intervenire con rapidità ed efficacia al mutare della situazione. Se l’estate difficilmente sarà libera da ondate (data la natura di Omicron) senza che questo rappresenti un problema rilevante dal punto di vista sanitario, il rischio è che in autunno/inverno ci si trovi a dover fare i conti con un aumento deciso delle infezioni, che potrebbe rappresentare un pericolo specie per anziani e fragili. Nell’attesa di chiare indicazioni dalle autorità sanitarie sulla quarta dose, far leva esclusivamente sul senso di responsabilità delle persone può essere una linea sensata, ma solo a patto che i cittadini siano consapevoli dei rischi ancora connessi alla malattia. C'è un'enorme differenza tra prendere la Covid-19 e non prenderla, ancora adesso. Ognuno dovrebbe essere consapevole del rischio di riportare danni a lungo termine, di soffrire effetti della Long Covid o anche solo di mettere a rischio la salute dei nostri cari. Rispettare le regole di igiene, isolarsi in presenza di sintomi o di indicazioni mediche, utilizzare ancora la mascherina al chiuso e nei luoghi a rischio: sono ancora le scelte migliori che possiamo fare. Lasciare che il contagio si diffonda liberamente e mettere a rischio fragili e anziani, soprattutto se non vaccinati, è sempre la scelta peggiore, perché si tradurrà ancora in morti e ospedalizzazioni.

È vero, dunque, che la strada è ancora lunga e molte nazioni hanno ancora bisogno di essere aiutate nella loro campagna vaccinale, ma dobbiamo e possiamo guardare al domani con fiducia e consapevolezza. La situazione rispetto anche solo a pochi mesi fa è radicalmente diversa, sappiamo che i vaccini funzionano e il supporto "tecnologico-scientifico" alla lotta al virus ha prodotto risultati strabilianti. Abbiamo imparato a conoscere il virus, a farci i conti e a contrastarlo. Non dimenticare questa battaglia e quanto ci stia ancora costando, non è necessariamente "vivere nella paura", anzi è un modo per gestirla.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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