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Opinioni

È colpa di Renzi

No, non è vero. Il Presidente del Consiglio c’entra poco o nulla rispetto alla gestione dell’ordine pubblico nella triste serata dell’Olimpico. Ma il punto è che proprio non riusciamo a fare a meno del bisogno di “trovare un colpevole”.
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Che quello andato in scena nel giorno della finale di Coppa Italia sia stato uno spettacolo indegno appare un fatto fuori discussione. Che ancora una volta ci tocchi l'ingrato compito di discutere della sostenibilità di un sistema in cui coesistono illegalità, criminalità organizzata, interessi economici, pseudo – politica e ciò che resta del "calcio giocato" è quasi un paradosso. Perché, sostanzialmente, si finisce col ripetere sempre le stesse parole, gli stessi concetti triti e ritriti, le stesse "decisioni irrevocabili" (si veda la sicumera del Presidente della Figc Abete: "Siamo pronti ad invertire la tendenza, senza se e senza ma"). Ma soprattutto perché ci si continua a nascondere, in maniera più o meno consapevole, la vera radice del problema, quella che Vittorio Zambardino sul Napolista definisce "la metastasi nel calcio italiano che si serve del pallone per fare politica" che "dura da, grosso modo, trent’anni, ogni tanto fa un morto e ha distrutto uno spettacolo meraviglioso, creando la mostrificazione burocratica per gli onesti, senza liberarli dalla paura".

E che manchi la volontà "politica" di risolvere (o almeno affrontare) seriamente il problema appare sempre più evidente e resta la costante di anni e anni di parole al vento, di mezzi impegni e di timidi tentativi di riaffermare la presenza del buonsenso e del vivere civile anche nelle curve degli stadi italiani. Però, il Paese dei 60 milioni di allenatori è anche il Paese dei 60 milioni di commentatori, analisti politici, esperti di ordine pubblico, di sicurezza negli stadi e di giurisprudenza. Ma soprattutto è il Paese che proprio non può fare a meno di un nemico, di un colpevole cui scaricare le responsabilità, di qualcuno cui addossare di volta in volta "il peso della colpa". Così, dai media ai social network, nelle piazze reali e virtuali, si celebrano processi sommari e si emettono verdetti, si individuano responsabilità e colpe, si assegnano pene e condanne. È un esercizio comodo e liberatorio, in fin dei conti. Che coinvolge anche chi, per definizione, dovrebbe mantenere distacco e razionalità, attenersi ai fatti e raccontarli senza pregiudizi magari.

Ma alla fine conta solo trovare qualcuno con cui prendersela. E nel calderone finiscono tutti, quasi come se non ci fosse differenza fra chi va allo stadio con spranghe e bastoni, chi fa agguati ai tifosi avversari (sempre sotto gli striscioni "onore", "fede", "rispetto", ci mancherebbe), chi tutela l'ordine pubblico, il prefetto che non sa che fare, il questore che si prende responsabilità, il giocatore che va a parlare con i tifosi, il capo ultrà che "dà il via libera", la marea di tifosi entrata senza biglietto, gli steward conniventi e quelli che fanno il loro lavoro, il tifoso che festeggia e quello che non tifa, quello che fa invasione di campo e quello che minaccia i suoi stessi "compagni", quello che fischia l'inno e quello che lo canta. E, tanto per non farci mancare nulla, in mezzo entra anche la politica. Con la sua maschera peggiore: quella da campagna elettorale. Che non si ferma davanti a nulla, sia l'Olocausto o una semplice partita di calcio, magari anche per beneficenza.

Così il Presidente del Consiglio diventa responsabile della gestione della gara (?), quello del Senato quasi della trattativa con il figlio di un camorrista / capo ultrà (?) e tutti e due diventano "testimoni dell'indegno funerale della Repubblica". E non osiamo nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se Renzi avesse abbandonato il suo posto in tribuna dopo i primi minuti della "farsa" (come pure, sinceramente, avremmo sperato facesse). Ma forse, è quello che ci meritiamo. Forse.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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