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E Bersani non abbandona la corsa per Palazzo Chigi

Il segretario del Partito Democratico deciso a non mollare: “Noi unica alternativa al voto”. Ma che margini ci sono perché l’esperimento Bersani possa presentarsi alla prova delle Camere?
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Bersani-incarico

La conferenza stampa di ieri di Pier Luigi Bersani è servita se non altro a fare un minimo di chiarezza. In sostanza il segreatrio del Pd ha detto alcune cose, in maniera decisa e, per una volta, senza imbottirle di metafore e ne ha lasciate intendere altre, cariche di significato. Nello specifico: quello dei saggi è l'ultimo boccone amaro che il Pd è disposto ad ingoiare in nome della responsabilità (e del rispetto verso il Capo dello Stato); oltre la proposta di Governo del Pd (leggasi un esecutivo a guida Bersani) l'unica alternativa è il voto; in caso di elezioni anticipate sarebbe di nuovo in campo, per guidare partito e Paese. Insomma, Bersani è ancora in sella e non inganni quel "sono disposto a farmi da parte, se serve", perché la chiave è tutta in un preciso passaggio della sua conferenza stampa, che rende conto delle tensioni interne al partito e del complesso gioco di posizioni tra le forze parlamentari: "In tutti i Paese normali il leader del partito che ha più voti e più parlamentari governa. Non si capisce perché qui dovrebbe essere diverso e soprattutto non si comprende perché i voti del Pd dovrebbero contare meno degli altri".

Insomma, ora Napolitano ha scelto di perdere tempo con un esperimento (sul quale Bersani spende parole di circostanza), ma con il nuovo inquilino del Quirinale le cose potrebbero cambiare. Il perché è presto detto: il nuovo Presidente della Repubblica potrebbe agitare lo spauracchio dello scioglimento delle Camere. Una prospettiva che, fuori dall'ufficialità, non fa dormire sonni tranquilli ad un numero consistente di parlamentari (trasversalmente agli schieramenti). Ed è questa una delle ragioni del nervosismo sia in casa 5 Stelle che nel centrodestra. I grillini, che hanno traballato non poco durante queste prime settimane di lavori parlamentari (come del resto preventivabile, data la pochissima esperienza in siffatte questioni e la propensione pressocché nulla al confronto / compromesso) sanno benissimo che la fermezza sul "no al governissimo" del Pd può costringerli ad una netta assunzione di responsabilità (anche in sede di elezione del Capo dello Stato) e ovviamente temono ripercussioni in termini di consenso in caso di immediato ritorno alle urne. Il Pdl invece sembra restare ai margini della scena, dal momento che, come ricorda Merlo sul Foglio, "Berlusconi è alla ricerca di un punto debole sul quale poter fare leva per scardinare le certezze granitiche dei suoi avversari, ma non lo trova, non ha armi contro nessuno degli attori sulla scena: non può certo minacciare le elezioni, visto che non c’è nemmeno un governo, né può sfiduciare un esecutivo che si regge solo per il disbrigo degli affari correnti".

A Bersani restano però da superare due ostacoli difficilmente sormontabili: il gap in termini di seggi al Senato (di cui abbiamo già detto) e la fronda interna al partito. Non è un caso che proprio poche ore fa Matteo Renzi si sia lasciato sfuggire un sibillino "stiamo perdendo tempo", che riflette un nervosismo evidente. Del resto, Renzi (che pure non vorrebbe il voto a giugno) sa che le prossime settimane saranno cruciali e che Bersani, se riuscisse a gestire con successo questa fase di transizione, sarebbe ancora il favorito alle primarie (ammesso che si tengano e con il voto anticipato è tutt'altro che scontato), potendo contare sulla stragrande maggioranza del partito.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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