E' arrivato il momento di legalizzare la cannabis. E' arrivato il momento di depenalizzarne il consumo. E' antistorico nel 2015 dibattere di lotta alla criminalità se non si parte dai bacini di denaro da cui quest'ultima attinge. E' antistorico credere che il proibizionismo sia la strada da perseguire. E' la stessa antistoricità che abbagliò gli statunitensi all'inizio del XX secolo. Oggi come allora un incrocio di conservatorismo culturale e interessi economici incombe su una strada che ha un'unica via d'uscita.
Sugli effetti della marijuana è stato scritto tutto e il contrario di tutto ma gli studi – e i pareri di illustri scienziati – sul consumo a lungo termine di questa sostanza sono tutt'oggi discordanti.
Un solo dato mette tutti d’accordo: di marijuana non si muore. A dirlo non è una comunità reggae ma il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie del governo Usa che pubblica una statistica sulle morti per droga negli Stati Uniti: a fronte di 480 mila persone decedute a causa del fumo di sigaretta e le 26 mila a causa dell’alcol, le morti per consumo di cannabis sono state zero (i dati si riferiscono al solo anno 2011).
Di cannabis non si muore. O meglio di cannabis “naturale” non si muore. Le uniche morti accertate derivano dall’utilizzo di cannabis sintetica, di supercannabis, ovvero di sostanze chimiche prodotte dalla malavita organizzata per aumentare i profitti e abbassare i costi.
Ammoniaca, pezzi di vetro, smalti, pezzi di plastica. Sostanze che le mafie di tutto il mondo aggiungono alla cannabis e all’hashish per aumentarne l’effetto e diminuirne i costi. Un metodo antico. Lo stesso usato in Francia con l’assenzio alla fine dell’800 – a cui veniva aggiunto il rame – o negli USA, quando il consumo d’alcol era interdetto e la criminalità si arricchiva vendendo il Moonshine, il whisky del proibizionismo prodotto nei radiatori delle auto e contenente prodotti nocivi quali glicerina e liquido antighiaccio.
L’ipocrita, contemporanea, lotta alla cannabis andrebbe riletta proprio alla luce di quanto accadde negli Stati Uniti di inizio XX secolo. Con i grandi industriali USA – guidati da John D. Rockefeller – pronti a difendere (e sostenere economicamente) il governo proibizionista. Una scelta capitalista dettata dalla convinzione che se gli operai avessero bevuto di meno sarebbero stati più produttivi.
Una lotta che impoverì l’amministrazione USA orfana degli introiti derivante dalle tasse sull’alcol e che, di contro, arricchì i grandi gangster dell’epoca (Al Capone su tutti). Una lotta che vide termine solo quando il governo statunitense si trovò ad un bivio: legalizzare il consumo di alcol o tassare i grandi capitali. Una scelta che vide la J.P. Morgan e la General Motors passare dal fronte dei proibizionisti a quelli degli antiproibizionisti.
Una scelta che ritorna oggi, come ieri, nel dibattito politico ed economico. Gli Stati Uniti, cento anni dopo, sembrano aver imparato la lezione dei ruggenti anni '20. E così nella Capitale Usa, a Washington, si può tranquillamente fumare uno spinello mentre si passeggia fuori dalla Casa Bianca. Nello stato del Colorado – il primo ad aver legalizzato la marijuana per usi ricreativi – l’introito derivante dalla tassazione della vendita (legale) di cannabis ha comportato una restituzione di oltre 30 milioni di euro di tasse ai cittadini.
E' arrivato il momento di legalizzarla. A dirlo – già nel 2011 – è la Commissione globale sulla politica delle droghe, di cui fa parte anche l'ex segretario dell'ONU Kofi Annan. A ribadirlo, lo scorso 25 Febbraio, è la Direzione Nazionale Antimafia che auspica una depenalizzazione del reato. In una relazione inviata alla Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi, il pool di contrasto alla criminalità organizzata ha scritto a chiare lettere che: “"I dati statistici e quantitativi nudi e crudi, segnalano, in questo specifico ambito, l’affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool".
E' arrivato il momento di legalizzarla, di togliere questo indotto economico dalle mani della criminalità organizzata. E' arrivato il momento di gettarsi alle spalle il velo d'ipocrisia che avvolge il dibattito sulla marijuana. A farne uso in maniera regolare è il 14% della popolazione e il suo utilizzo è in costante crescita non solo tra i giovani. E' un bene usato e diffuso, reperibile facilmente.
E' arrivato il momento di legalizzarla perché lo chiedono 60 parlamentari di destra e di sinistra. Perché de facto è già legale ed è già distribuita da un monopolista: le mafie.
E' arrivato il momento di legalizzarla perché dalla sua vendita controllata lo stato incasserebbe circa 8 miliardi di euro di tasse. Soldi che oggi vanno nelle mani della criminalità organizzata e che corrispondono ai soldi che il nostro governo spende ogni anno per l'università e la tutela del patrimonio artistico, culturale e ambientale.
E' arrivato il momento di legalizzarla perché il proibizionismo non è di questo secolo (con buona pace di Giovanardi).