Lo strano caso delle primarie del centrosinistra si chiude nel modo più prevedibile: Bersani conquista oltre il 60% dei consensi al ballottaggio e sarà dunque il candidato alla Presidenza del Consiglio della coalizione che si presenterà alle politiche del 2013. O meglio, se resterà in vigore il Porcellum, l'attuale segretario del Partito Democratico sarà indicato come il capo della coalizione di centrosinistra, come del resto prevede anche lo statuto del partito. Quello che resta è una lunga battaglia con Matteo Renzi, fatta di fair play ma anche di polemiche sulle regole, con una campagna elettorale sobria ma anche con qualche operazione "ai limiti". E se ora c'è spazio per dichiarazioni, interviste e commenti, allo stesso tempo non è azzardato provare ad immaginare cosa cambia con la vittoria di Bersani e con il risultato personale estremamente lusinghiero di Matteo Renzi.
La sfida delle politiche del 2013 – Come detto, Bersani è il candidato premier in pectore. Ma, prima di tutto, di quale coalizione? Dipende. Non tanto dalla volontà politica dello stesso Bersani, quanto piuttosto da "fattori esterni" come la modifica (eventuale) della legge elettorale e la scelta dell'election day per accorpare politiche e regionali. Come mostrano praticamente tutte le simulazioni, in caso si andasse al voto con il Porcellum, una coalizione PD – SEL – PSI (magari supportata dalla lista civica "arancione") otterrebbe la maggioranza dei seggi alla Camera (la proiezione più attendibile è di 340 deputati), con buona probabilità di "spuntarla" anche al Senato. Un successo annunciato, insomma, soprattutto se Governo e Presidente della Repubblica opteranno per il no all'election day. Ma anche uno scenario che consentirebbe alla coalizione di fare a meno dei voti dell'Unione di Centro, scelta che compatterebbe anche l'elettorato "storico" del centrosinistra, tendenzialmente ostile ad un'alleanza con i centristi e allo stesso tempo scaccerebbe il "fantasma dell'Unione" che aleggia da anni su ogni ipotesi di coalizione "a sinistra".
Ovviamente se la legge elettorale dovesse essere modificata e se dalla riorganizzazione del campo del centrodestra arrivassero novità sostanziali, il quadro potrebbe anche cambiare drasticamente. In tal senso la vittoria di Bersani, a differenza di quanto sarebbe accaduto nel caso di un successo di Renzi, lascia comunque uno spiraglio al "solo" Pierferdinando Casini.
La riorganizzazione del Partito Democratico – È questa la grande incognita del post primarie. Perché se da un lato è vero che, come notavano in molti ieri sera, la "scalabilità e contendibilità" della leadership rappresantano una sorta di "nuovo atto fondativo" del Partito Democratico, allo stesso tempo il successo personale di Matteo Renzi pone un problema politico. Non fosse altro che dal punto di vista dei contenuti, dei programmi, degli indirizzi. Lo ribadivano, nel nostro hangout di commento, sia Ivan Scalfarotto che Andrea Sarubbi: non c'è (solo) un problema di "posti", ma uno più generale di accogliere istanze e programmi che hanno trovato il sostegno di quasi il 40% dei militanti. E, di contro, la risposta di esponenti come Stefano Fassina e Rosy Bindi (le cui impressioni abbiamo raccolto a caldo), riducibile ad un chiaro "niet" su alcuni temi (politiche del lavoro e rapporti di forza interni) motivato proprio con la legittimazione data alla linea di Bersani dai militanti. "Le primarie non sono state un concorso di bellezza, ma una scelta fra due piattaforme programmatiche ben distinte e Bersani ha il compito di portare avanti la linea per la quale ha avuto il voto di oltre il 60% degli elettori": così Fassina, con buona pace di quel "tener dentro istanze diverse" che è un po' il leit motiv dell'area che fa riferimento a Matteo Renzi.
Una questione complessa, dunque. Non fosse altro perché i "renziani" sono sostanzialmente fuori dagli organismi dirigenti del Partito e dunque davvero resta da capire come "portare dentro" i temi della cosiddetta agenda Renzi. E se il Sindaco di Firenze rassicura di non voler fare una corrente, allo stesso tempo cominciano i primi movimenti. Citiamo solo lo "spunto" di Zingales che ha esplicitato ciò che una parte del fronte renziano pensa da tempo:
Matteo Renzi ha perso. Ma la sua battaglia non è stata invano. Ha dimostrato che nel Paese c’e’ un grande bisogno di idee e facce nuove; che la lotta contro lo statalismo ha un grande seguito popolare; che i dieci punti di Fermare il Declino (condivisi dai Renziani) non sono il desiderio di una ristretta élite, ma hanno un ampio seguito anche all’interno del PD, ed ancora di più nel Paese. Purtroppo la sconfitta di Renzi ha anche dimostrato che questa battaglia non può essere fatta all’interno dei vecchi partiti. L’unica speranza di cambiamento è l’entrata di nuovi movimenti nell’arena politica. E’ un percorso difficile, ma è l’unico possibile per evitare uno scollamento tra la politica e la gente. Grillo ha indicato la strada. Rappresenta in modo sublime la rabbia della gente. Ma per cambiare un Paese non basta la rabbia, occorre un’agenda concreta. Noi di Fermare il Declino abbiamo quell’agenda. Un’agenda così simile a quella di Renzi, che molti dei nostri hanno votato per Renzi, sperando in una sua vittoria. Un’agenda che non può essere portata avanti da Bersani e Vendola. Per questo motivo, per offrire agli Italiani un’alternativa vera alle urne, è giunto il momento di abbandonare ogni esitazione e trasformare Fermare il Declino in un movimento politico che si rivolge non solo ai Renziani delusi, ma a tutti coloro che amano il nostro Paese e lo vogliono diverso. All’Agenda Monti noi preferiamo l’Agenda Renzi. E, con o senza Renzi, la vogliamo portare avanti. Chi ci crede, ci segua.
Quanto l'impostazione di Zingales sia condivisa all'interno del PD non è dato sapere al momento (anche perché il consigliere economico di Renzi non è mai stato appunto "un elemento di sintesi"). È chiaro però che l'ipotesi di uno strappo di Matteo Renzi sarà la vera incognita dei prossimi mesi, con la "resa dei conti" che arriverà necessariamente quando sarà chiaro il meccanismo di scelta dei parlamentari e quando si "disegnerà la successione di Pierluigi Bersani alla guida del partito". E che sia necessario un accordo tra le parti è molto più di un'impressione post – primarie. Anche perché più che di un compromesso si tratterebbe di una grande opportunità per lo stesso Bersani: "smacchiare il partito", rinnovarlo e rilanciarlo. Questa volta sul serio.
Il futuro di Mario Monti (e quello di Silvio Berlusconi) – La vittoria di Bersani rafforza senza dubbio il PD, proprio perché ne legittima la guida e le ambizioni di Governo. Ovviamente il segretario sa che bisogna prima di tutto "convincere e rassicurare" le istituzioni e le cancellerie europee e per questo comincerà probabilmente un "tour" europeo (e non solo, visto che sarà in Libia già nei prossimi giorni). Un passaggio doveroso per porsi come "unica alternativa possibile" al professore alla guida del governo. Resta da capire in che modo "reagirà" Monti, sempre disponibile a tornare in sella nel caso in cui "la politica dovesse averne bisogno", ma ovviamente determinato a non esporsi direttamente nella contesa elettorale. A maggior ragione se, come pronosticano in molti, la vittoria di Bersani dovesse convincere Silvio Berlusconi a rompere gli indugi ed a proporsi di nuovo come leader di un ritrovato asse tra quel che resterà del PDL (con l'incognita degli ex An) e la Lega Nord. In quest'ultimo caso, alle urne potremmo davvero trovarci di fronte uno scenario simile: PD – SEL – PSI (più lista arancione, magari) con a capo Bersani; la nuova versione di Forza Italia – Lega Nord – Destra (un nuovo soggetto?) – liste civiche con a capo Berlusconi; il Movimento 5 Stelle in pratica senza leadership; il fronte centrista con Montezemolo e Casini che, nel caso di legge elettorale costruita su misura, punterebbero ancora al Monti bis; infine una serie di "esuli" in cerca di casa (non è escluso ad esempio che l'IDV ripensi ad un'intesa con la Federazione della Sinistra, sul modello di tante esperienze locali). E, ancora una volta, tutto ruota intorno alla riforma della legge elettorale (peraltro a pochi mesi dalle politiche, ma questo fingiamo di non saperlo…).