Claudio Durigon si dimetterà da sottosegretario all'Economia del Governo Draghi, lo ha confermato lui stesso con una lunga e accorata lettera. Non lo farà per le conseguenze delle inchieste su Latina o sull'UGL, né per non aver ancora spiegato il senso delle sue parole sulla Guardia di Finanza e le indagini sulla Lega, rivelate dal lavoro di Fanpage.it. Le dimissioni arrivano dopo un colloquio con Matteo Salvini, nel corso del quale non ha potuto far altro che prendere atto della richiesta di un passo indietro di quasi tutte le forze che compongono la maggioranza, che ormai consideravano inaccettabile la permanenza nell’esecutivo di un esponente politico che aveva proposto di intitolare nuovamente al fratello di Benito Mussolini, Arnaldo, il parco comunale di Latina (che ora omaggia la memoria di Falcone e Borsellino).
Dopo quasi un mese di resistenza, Durigon ha scelto di fare un passo indietro, o meglio, un passo di lato, come lo chiama lui. E, finalmente, è riuscito a mettere nero su bianco che non è e non è mai stato fascista, provando a giustificare la sua proposta come un mezzo per mantenere viva la memoria storica della città di Latina. Nella sua lunga lettera, infatti, Durigon ricorda di essere di origine veneta e chiarisce che la “proposta toponomastica” era in realtà un modo per ricordare il sacrificio dei tanti immigrati che avevano bonificato le paludi dell'Agro Pontino: una storia "così intensa e particolare" che "fa parte della memoria della città" e che sarebbe stata nobilitata dal ripristino del nome scelto dai coloni e dagli immigrati arrivati a Latina da ogni parte d'Italia, proprio come la sua famiglia (poche righe più in basso, invece, se la prende con Lamorgese per gli sbarchi sulle nostre coste, ma tant’è…). Insomma, seppur con settimane di ritardo, abbozza una spiegazione, prova a giustificarsi, cerca di precisare, rende conto delle sue dichiarazioni.
Esattamente quello che ha sempre rifiutato di fare di fronte alle domande di giornalisti, cittadini e membri del Parlamento sulle inchieste che lo hanno riguardato in questi ultimi mesi. Silenzio sulle inchieste di Repubblica, Domani e Fanpage.it sulle sue relazioni con personaggi al centro di inchieste della magistratura a Latina. Silenzio sui legami fra Lega e UGL e sulle sue responsabilità nella costruzione dei rapporti fra il sindacato e quello che stando ai sondaggi è il primo partito italiano per consenso elettorale. Silenzio sul filmato mostrato da Fanpage.it nel quale lo si vede ostentare serenità sulle inchieste riguardanti il partito di Matteo Salvini perché “il generale Zafarana lo abbiamo messo noi”. Silenzio sulle immagini che lo vedono interessarsi alle richieste di un personaggio che lui stesso ritiene essere “molto vicino ai servizi segreti”. Silenzio di fronte a interrogazioni parlamentari e richieste di chiarimento dei suoi colleghi in Parlamento. Non una parola, una dichiarazione, una conferenza stampa, una nota ufficiale.
Un silenzio che permane e che non può passare in secondo piano soltanto perché ora non fa più parte del governo Draghi. Durigon è un rappresentante dei cittadini e ha il dovere, non la possibilità, di rendere conto ai cittadini italiani di ciò che dice, fa e dichiara quando opera come uomo delle istituzioni. Lo ripetiamo, un “politico che rifiuta di rispondere ad accuse circostanziate e precise come quelle che riguardano Durigon è evidentemente un politico che non ha compreso il valore del suo ruolo, che si fonda su un patto con i cittadini che non è mai una delega in bianco”. Le dimissioni non bastano, diremmo quasi che non servono e che comunque dovrebbero essere il risultato di una presa di coscienza della politica sulla necessità di mettere al primo posto l'etica pubblica. Che Durigon sia o meno sottosegretario del Governo cambia poco: ci sono tante domande inevase e tante risposte che i cittadini meritano.