Alessandra Mussolini, che quando c'è da rincorrere dietro a una castroneria utile per tornare sui giornali è sempre in prima fila, ha proposto un nuovo fantasioso reato, di "ducefobia", per chi mostra l'immagine di Mussolini nel momento della sua morte: «Chi espone la foto o il disegno di mio nonno a testa in giù commette un atto di violenza, che andrebbe perseguito», ha detto la nipote del duce. C'è da aspettarselo, del resto, da chi proprio su quel cognome ha costruito la propria carriera e da chi da tempo insiste con una volgare falsificazione della storia nel tentativo di riabilitare quello stesso fascismo sulle cui ceneri è nata la nostra Costituzione.
Il modo migliore per deridere l'antifascismo è inventarsi un ridicolo antiantifascismo che serve per mettere tutto sullo stesso piano e buttare in caciara un periodo storico di cui la nostalgia continua a essere un capitale politico. Non c'è nessuna discussione nel merito, nessuna profondità di discorso e nemmeno nessuna umanità da rivendicare: si tratta solo di insistere nel fare galleggiare fascisti, neofascisti e compagnia bella per potersi dire "difensori" di un'ideologia che sarebbe vietata per legge e per Costituzione. Così il tema non è l'atteggiamento obbrobrioso dei tifosi laziali che si sono mostrati ridicoli a tutto il mondo con le loro mani alzate ma spostare il focus su altro per giustificarli di sponda.
Accade per il fascismo di ritorno ma se ci pensate accade un po' su tutto: ci sono i derisori professionisti sull'immigrazione, sui femminicidio, sui diritti umani, quelli che si sentono belli e forte spalmando ironia contro gli omosessuali, quelli (come l'ex ministro dell'interno) che offrono al proprio popolo qualche simbolo avversario perché lo sbranino con gusto e succede quando di fronte a un problema qualsiasi si decide di contrapporre qualche altro problema aggiungendoci la locuzione "e allora..?". È un coacervo di parole sparate a caso che non sarebbero accettate nemmeno alla macchinetta del caffè durante la pausa in ufficio eppure diventano oggetto di dibattito in ambito politico: se è una sciocchezza si può stare sicuri che non passerà inosservata.
Alessandra Mussolini (ma sono in molti in quella schiera) sulle sparate buone per essere condensate in un titolo o in uno strillo social ha costruito tutta la sua carriera: qualcuno alzi la mano se degli "urlatori seriali, beffeggiatori impuniti" si ricorda un testo di legge, una proposta di riforma strutturata, un discorso con qualche valenza di storie e di memoria o un atto politico qualsiasi che tenda a costruire coscienza in questo Paese. Niente. Niente di niente.
È il cretinismo usato come clava politica: "Se la sparo grossa forse riesco a farmi notare" recita il comandamento dei cretini e così tutti che si spremono per meritarsi una riga, non fosse altro di indignazione. Eppure l'unica malattia che ci sarebbe da augurarci sarebbe proprio una -fobia, la cretinofobia, un'inarrestabile avversione per le sparate di chi non avendo nulla da dire prova solo a fare molto rumore. Pensate che bello che sarebbe se tutti provassero un insostenibile fastidio per ogni banalità che viene usata per ottenere visibilità: sparirebbero in molti. E fare i cretini passerebbe di moda.