Mario Draghi non ha alcuna intenzione di candidarsi alle prossime elezioni o di fondare un movimento politico. Lo conferma nella sua prima intervista a un quotidiano, Il Corriere della Sera, che arriva a oltre un anno di distanza dalla sua nomina a Palazzo Chigi. “Ho molto rispetto per chi si impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore”, dice Draghi, aggiungendo di ritenere l’impegno da leader politico come “estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza”.
È una posizione che probabilmente deluderà più di qualche esponente politico, ma che appare piuttosto comprensibile. Non è un mistero che il “servizio alle istituzioni” avrebbe dovuto trovare compimento nell’elezione al Quirinale, almeno nelle intenzioni dell’ex presidente della Bce. La delusione post rielezione di Mattarella lo ha ulteriormente convinto dell’inaffidabilità dei leader di partito italiani, ma anche di quanto si fosse rivelata fallimentare l’operazione “governo dei migliori” agli occhi dell’opinione pubblica. Nessun margine concreto per operazioni alla Monti, per capirci, ma anche poco spazio affinché una coalizione politica con ambizioni di governo lo riconosca come leader. È questo un punto centrale, che influenza l'azione del governo e determina la configurazione futura del quadro politico italiano.
Per ovvie ragioni, infatti, il centrodestra non ritiene Draghi spendibile presso il proprio elettorato: Meloni è già adesso all'opposizione, Salvini ha una consistente fronda interna e Forza Italia è al momento marginale. Non troppo diverso il quadro nel centrosinistra, dove solo il Partito Democratico è disposto a caricarsene il peso ingombrante, mentre Conte ha più volte rimarcato distanze di metodo e merito. Troppo inconsistente il fronte liberal-centrista, ancora nebuloso il progetto "grande casa dei moderati": vista in questa prospettiva, quella di Draghi è prima di tutto una presa d'atto dell'assenza di margini di manovra.
Ritenere archiviata l'esperienza in politica di Draghi dopo le politiche del 2023, però, sarebbe un errore. Se i sondaggi di queste settimane sembrano rimarcare un netto vantaggio del centrodestra, non è detto che il quadro non cambi velocemente. Così come non è detto che la discussione sulla legge elettorale sia destinata ad arenarsi in Parlamento (il proporzionale puro è il sogno nemmeno troppo nascosto dei tifosi dell'attuale maggioranza). Insomma, per farla breve, in caso di incertezza o stallo post elezioni, toccherebbe ancora a Draghi, forte di un esperimento che riesce nel paradosso di scontentare tutti e nessuno allo stesso tempo. E che, soprattutto, ha l'appoggio incondizionato di Mattarella, che quasi sente di doversi scusare per occupare il posto che lui stesso intendeva lasciare in eredità all'ex numero uno della Bce.
Insomma, piaccia o meno, con Draghi bisognerà continuare a fare i conti a lungo. Tanto più che nessuno può prevedere come evolverà la situazione in Ucraina, né quali saranno le condizioni complessive in cui il nostro Paese arriverà nella primavera del prossimo anno. E se resta la grande coalizione, resta Draghi. Si accettano scommesse.