Draghi dice che Parisi ha ragione, ma il Pnrr ignora l’appello del Nobel per i fondi alla ricerca
La mattina di giovedì 7 ottobre, a palazzo Chigi, si è riunita la prima cabina di regia del governo per l'attuazione del Pnrr, il piano economico di ripresa dalla pandemia, finanziato con i fondi europei del Recovery Plan. Tema del summit: scuola, università e ricerca. Parlando in conferenza stampa al termine dell'incontro, il premier Draghi ha spiegato: "Lo straordinario evento del Nobel a Giorgio Parisi, ci ha fatto pensare a quali sono le nostre potenzialità nel campo della ricerca". Peccato, però, che se a parole la politica in questi giorni si è sperticata in elogi verso Parisi, in concreto ha fatto poco o nulla per rispondere agli appelli del fisico premio Nobel, che da tempo chiede un consistente aumento del sostegno alla ricerca pubblica.
Cos'è il piano Amaldi
Giorgio Parisi è uno dei promotori del cosiddetto "piano Amaldi", lanciato nel 2020 dal fisico Ugo Amaldi. Il progetto prevedeva un aumento degli investimenti pubblici nella ricerca da qui al 2026, per passare dallo 0,5 all'uno percento del pil e raggiungere i 20 miliardi di spesa all'anno, in linea con le percentuali della Germania. Inoltre, nel piano si individuavano quattro linee di intervento per una riforma del settore. Si andava dall’aumento del numero dei posti e delle retribuzioni per i ricercatori all’incremento dei bandi competitivi per il finanziamento di progetti di grande rilevanza, sia a livello individuale che a livello istituzionale. Si parlava poi di potenziamento delle infrastrutture (laboratori, etc) e della creazione di un sistema strutturato di trasferimento tecnologico verso l’impresa.
Il piano Amaldi è stato rilanciato da una lettera aperta sul Corriere della Sera nell'ottobre 2020, firmata da quattordici luminari, tra cui appunto il professor Parisi. Nell'appello, le richieste economiche erano persino minori rispetto al progetto originario: si chiedeva di arrivare allo 0,8 percento del pil di spesa per la ricerca nel 2026 – pari a 15 miliardi annui -, così da agganciare i livelli della Francia. Rimaneva poi la richiesta di riforme per il settore.
La ricerca nel Pnrr
"Il professor Parisi ha ragione, il finanziamento della ricerca, in particolare di quella di base, è stato inferiore di gran lunga rispetto a quello di altri paesi intorno a noi", ha detto ancora Draghi in conferenza stampa. Eppure, nel Pnrr le proposte del piano Amaldi rimangono in gran parte disattese. "C’è troppo poco per la ricerca di base pubblica", spiega Fanpage.it Federico Ronchetti, ricercatore presso l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e animatore della petizione online per promuovere il piano Amaldi, che ha raggiunto le trentamila firme. Sommando le diverse voci del Pnrr, si calcola una spesa di circa 5 miliardi per la ricerca di base, con un impatto sul pil dello 0,1 percento, ancora ben al di sotto degli standard d'investimento di Francia e Germania.
"Il Nobel a Parisi è grande successo personale ma non di sistema", dice Ronchetti. "Lui è un teorico geniale – prosegue -, ma io per fare le mie ricerche e fornire i dati su cui persone come Parisi possono elaborare le loro analisi, ho bisogno di finanziamenti, di strumenti, laboratori, personale formato". Il ricercatore punta il dito non solo contro la povertà di fondi per la ricerca di base, ma anche contro la filosofia che sta alla radice dell'altro grande canale di finanziamento del Pnrr, quello per la ricerca applicata, che vale circa altri 5 miliardi. "Si iniettano risorse nel sistema esistente, invece di riformarlo", dice Ronchetti.
Secondo i critici, infatti, senza le riforme strutturali indicate nel piano Amaldi, i finanziamenti per la ricerca applicata previsti dal Pnrr si limitano a versare fondi alle industrie, che nel campo della ricerca in questi anni si sono dimostrate arretrate e inefficienti. Ronchetti sottolinea come i sostenitori della petizione per la ricerca pubblica non si schierino contro il mondo dell'impresa, ma al contrario vorrebbero promuovere una a riforma complessiva, per tenere insieme università, enti di ricerca e sistema industriale. "Dando risorse una tantum al sistema così com’è – spiega il fisico -, il rischio è che i finanziamenti diventino sussidi mascherati alle imprese, che si muovono all’interno di un sistema di ricerca stratificato, opaco e incoerente".
L'esempio della Germania
A giudizio di Ronchetti, le imprese italiane si concentrano oggi perlopiù su prodotti a basso valore aggiunto, nei settori tradizionali del made in Italy ormai messi a rischio dalla concorrenza internazionale, mentre rinunciano a impegnarsi in ambiti più innovativi. La dimostrazione è che le industrie del nostro Paese registrano ogni anno un numero di brevetti di molto inferiore rispetto ai maggiori partner europei. Di conseguenza, i ricercatori che escono dall'accademia sono spesso costretti a emigrare all'estero, perché il sistema industriale italiano non ha la capacità di assorbirli. Come cambiare questa situazione? Secondo Ronchetti: "Le imprese dovrebbero essere messe in grado di relazionarsi con enti di ricerca ben definiti che forniscono servizi certificati, i cui costi per le aziende potrebbero essere anche agevolati da sgravi fiscali o finanziamenti a fondo perduto per le Pmi".
Il modello da seguire va cercato ancora una volta in Germania. Qui opera il Fraunhofer, un istituto di ricerca applicata articolato in sedi regionali, finanziato per un terzo dallo Stato, per un altro terzo con i bandi competitivi (che in Italia sono molto scarsi) e per l’ultimo terzo tramite la vendita di servizi all'industria. Le imprese tedesche possono pagare i Fraunhofer per servizi e infrastrutture destinati a implementare reparti di ricerca o acquisire competenze per sviluppare nuovi prodotti o processi industriali. Per fare un paio di esempi, il protocollo mp3 è stato messo a punto dal Fraunhofer e recentemente industrie tedesche in collaborazione con l'istituto hanno sviluppato tecnologie per estrarre idrogeno dalle acque reflue.
Insomma, nel Pnrr di Draghi per mancano ancora troppi soldi per la ricerca. Ma soprattutto, almeno in questo campo, accanto ai finanziamenti mancano le famose riforme strutturali in grado di rendere il piano di ripresa non solo una fiammata momentanea, ma un cambiamento concreto per il Paese. Per questo motivo, l'università italiana chiede che il governo si impegni per aumentare fin da subito i fondi ordinari per la ricerca, a partire dalla prossima legge di bilancio. E chiede un passo deciso per riformare il sistema. Altrimenti, gli entusiasti encomi verso il premio Nobel Giorgio Parisi rimarranno solo parole.