La cosa peggiore che possa accadere a un politico è quella di sollevare una questione e non risultare del tutto credibile, pur avendo ragione nel merito e nel metodo. Sta accadendo a Matteo Renzi (di nuovo), protagonista ormai da settimane di un confronto a distanza con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla gestione dei fondi del Next Gen EU e, più in generale, sulla direzione che l’esecutivo intende prendere nei prossimi mesi.
In linea di principio, chi scrive ha pochi dubbi sul fatto che il senatore di Italia Viva sulla questione della governance e sull'immobilismo del governo abbia ragione, o almeno ce l’abbia in larga parte: è assurdo pensare di non gestire collegialmente una così grande mole di risorse, esautorando il Parlamento e commissariando i ministeri competenti con l’ennesima task force, ma soprattutto è ovvio che debba essere la maggioranza ad assumere la responsabilità di scelte eminentemente politiche, che rendano chiara la direzione verso la quale si intende portare il Paese nel prossimo futuro. Di contro, la ricerca affannosa di un minimo di agibilità politica da parte di Renzi e dei suoi è francamente insopportabile, perché mina alla base ogni ipotesi di cambio di passo da parte dell'esecutivo sui temi affrontati di volta in volta. In ogni caso, c’è un dato di fondo che non può essere negato: così non si va avanti, c’è qualcosa che non funziona e serve uscire al più presto dalle sabbie mobili in cui sembra finita la macchina dell’esecutivo.
Lo stesso Conte, nella conferenza stampa di fine anno, ha ammesso che le cose non stanno andando bene, riferendosi ai ritardi nella predisposizione del piano per l’utilizzo del Recovery Fund, ma continuando a negare l’esistenza di una vera e propria crisi di governo e assicurando che non c’è all’orizzonte alcun cambio di maggioranza. La disponibilità di Conte, che sfiora l’arrendevolezza, è un segnale strano, difficile da interpretare, soprattutto perché fa da contraltare all’aggressività dei renziani e allo stillicidio di dichiarazioni, commenti, interventi più o meno espliciti con i quali lo stesso Renzi sta occupando lo spazio politico ormai da settimane. Lo spin fatto circolare dai renziani in merito al confronto sul Recovery Fund è chiaro: distanze enormi sui contenuti, impostazione completamente sbagliata del piano italiano, attuale squadra di governo inadeguata a gestire il più grande trasferimento di risorse della storia recente del nostro Paese. Una linea che si è tradotta in “correzioni” al Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza di Conte in 62 punti: nulla a che vedere con le “osservazioni” del PD e di LeU, sollecitate dallo stesso Presidente del Consiglio anche per mostrare che è in atto una vera e propria riflessione collegiale. Ma non solo, perché l’affondo renziano tocca anche una questione cruciale per l’intero esecutivo: la gestione della pandemia, giudicata inadeguata e inefficiente, coperta solo da quella che viene definita senza mezzi termini “una stanca retorica”.
Con queste premesse, la crisi sembrerebbe inevitabile e le strade di Conte e Renzi destinate a separarsi, se non fosse per quello che è quasi un dato storico: la non credibilità delle minacce di Italia Viva, che in poco più di un anno ha lanciato diversi "penultimatum" al Governo per poi fare marcia indietro o portare a casa piccoli contentini. Al contempo, lo stesso Presidente del Consiglio farebbe volentieri a meno della componente renziana, se non fosse per il problema costitutivo del suo esecutivo: la limitatezza dei numeri in Parlamento e l'assenza di alternative concrete alla pattuglia di Italia Viva.
Destinati a stare insieme, dunque, ma per quanto ancora? Anche ammesso che si esca indenni da questa fase, infatti, è difficile scommettere sulla sostenibilità a lungo termine di un patto fra gruppi che si detestano e che hanno in comune soltanto l'assenza di un'alternativa (o al governo o alla sopravvivenza politica). Recovery Fund e campagna vaccinale non sono questioni come le altre, ma rappresentano uno snodo cruciale per l'Italia dei prossimi anni: è impossibile, semplicemente impossibile, che siano gestite da un governo "politico" che non abbia una comune piattaforma politica e la stessa visione del futuro. Tanto varrebbe lasciar fare ai tecnici, e se continua così è lì che si arriverà, perché nessuno (soprattutto al Colle) può permettersi il lusso di fallire o tentennare quando c'è da rimettere in piedi l'economia del Paese e da mettere in sicurezza, letteralmente, le vite di milioni di italiani. Lo sa Renzi e lo sa Conte.