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Opinioni

Dopo la pandemia, la guerra: perché dobbiamo dare ai più giovani un reddito di felicità

Una parola che non manca mai nel vocabolario degli adolescenti è “ansia”, ed è tutta colpa nostra. Abbiamo un debito con i ragazzi di oggi, ed è ora di saldarlo.
A cura di Saverio Tommasi
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Adolescente
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"Incontro" è una parola piena, che moltiplica le parti. Quando due persone si incontrano non si sommano, ma mettono i propri terreni uno accanto all'altro per far nascere qualcosa in più.
È il superpotere dell'incontro, quello che stiamo sottraendo ai più giovani, adolescenti al tempo dei cambiamenti climatici, degli uragani e della siccità, poi della pandemia, ora anche della guerra.

Una parola che non manca mai nel vocabolario degli adolescenti è "ansia", lo scopro ogni giorno e preferirei un pugno nei fianchi, perché quello dopo un bel respiro passa, mentre la loro ansia no. Li accompagna come una pietra in tasca, rallentando ogni azione quotidiana, indisponendoli all'incontro.

E la vita cos'è, se non incontro?

Non rispondete, per favore, "ma anche noi, però".
Non sottraiamoci dalle responsabilità, non sono la stessa cosa la loro ansia e i nostri pensieri.
Noi abbiamo avuto la possibilità di vivere un'adolescenza migliore della loro. Meno consapevole, forse, ma certamente più libera. Con meno possibilità di viaggiare, ma nei fatti con più viaggi.

Noi abbiamo un debito con le ragazze e con i ragazzi di oggi, ed è ora di saldarlo.

La mia generazione – ho 43 anni – sta sottraendo vita agli adolescenti, con la complicità di una generazione precedente che ci ha lasciato le centrali a carbone, gli incentivi alle auto più inquinanti e l'atroce irrisione delle istanze di Greta Thunberg, dei sogni e degli impegni degli adolescenti in piazza.
Due generazioni – la mia e quella precedente – incapaci di dare risposte ai più giovani, incapaci di aprire strade e spesso neanche di governare l'esistente, figuratevi di cambiarlo in qualcosa di migliore e che faccia rima con "futuro" e "incontro".

Abbiamo una guerra dentro l'Europa e la nostra risposta è inviare armi e aumentare le spese militari, sperando che nel frattempo russi e ucraini trovino un accordo.
Abbiamo un continente – quello africano – che abbiamo depredato, e da cui scappa una generazione di ragazze e di ragazzi, e la nostra risposta è stata quella di fare accordi con i torturatori libici per non far partire i barconi. E poi, quando partono, tifare in modi diversi per la chiusura dei porti.

La mia è nei fatti una generazione insensibile e colpevole.

Facciamo un passo indietro e chiariamo un aspetto: la pandemia non è colpa nostra, cioè non è colpa della mia generazione e neanche di quella precedente, e risposte politiche come il lockdown sono state la conseguenza naturale di un fenomeno inaspettato e sul quale non potevamo avere – da questo punto di vista – un approccio diverso. Resta però il fatto di una generazione sottratta alle relazioni. Noi adulti ci possiamo lamentare del lavoro, del tempo forzato in casa, ma nessuno ha subito le devastazioni psicologiche che hanno patito gli adolescenti, letteralmente sottratti alla vita.
Certo, scolasticamente parlando abbiamo scoperto la didattica a distanza, all'inizio è stata una confusione, poi quasi divertente, ma è mancato comunque lo scambio diretto. Le insegnanti e gli insegnanti hanno fatto sforzi enormi, ma non è stato possibile colmare il gap del non essere fisicamente accanto.
Ho vissuto gli incontri a distanza da padre e da giornalista, incontrando gli studenti – negli ultimi due anni – soprattutto online.
Di solito con loro faccio un gioco, amo molto i giochi: chiedo di pensare una parola e poi di condividerla con gli altri, pronunciandola ad alta voce. C'è solo una regola: deve essere una parola a cui si sentono in qualche modo legati, una parola la cui storia si portano nello zainetto invisibile. Poi chiedo loro di aprire quello zainetto di fronte a tutti, se ne hanno voglia.
Una parola che non manca mai è "ansia". Più di "amore", molto più di "viaggiare" o di "amici", o ancora di "incontro", ciò che li accompagna di più è la parola "ansia". E i responsabili siamo noi adulti. La colpa è tutta nostra.

Il crimine ci appartiene perché siamo politicamente disinteressati alla loro felicità. E invece dovremmo garantire loro un reddito di benessere, un reddito di felicità.

Incontro ragazze e ragazzi che tengono la mascherina anche all'aperto, anche a distanza, anche se la legge ora non lo richiede più, "perché senza mascherina sono più brutta".
La mascherina – dall'averci salvato da un contagio ancora più spaventoso – è diventata con il tempo un rifugio, uno schermo, come quando capitiamo a una festa in cui non conosciamo nessuno e teniamo le braccia conserte, o ci rifugiamo in un angolo, o in un'improvvisazione teatrale libera finiamo quasi sempre a terra, alla ricerca di qualcosa che ci protegga, che sia il pavimento, un muro, le nostre stesse braccia chiuse alla possibilità di un incontro, oppure oggi la mascherina all'aperto, a distanza, fra certi adolescenti "che altrimenti si sentono brutti e inadeguati".
Io sono attento alla prevenzione, ho sempre indossato la mascherina, la cambio spesso, però non sono così sciocco da non accorgermi che in certe situazioni è diventata un rifugio alla mancanza di socialità. La difficoltà di parlare indossando la mascherina per molti è diventata un'ottima scusa per tacere, per non condividere le storie che si hanno dentro. E tutto questo è terribile.

La nostra generazione non sta dando risposte adeguate alla necessità di rendere questo mondo un posto vivibile anche per le prossime generazioni, e questo è il risultato.
Stiamo arrivando a un punto di non ritorno per quanto riguarda la conservazione delle specie viventi, e della nostra in primis. Ci dovrebbe interessare, invece le manifestazioni di piazza, o la richiesta di una raccolta differenziata spinta in ogni città italiana, o i bonus per l'acquisto di mezzi di trasporto ecologici, o nuove pale eoliche e pannelli solari, vengono irrisi.

I più giovani hanno poche speranze, e i responsabili siamo noi e non ce ne accorgiamo, o non ci interessa.

I Care, diceva don Lorenzo Milani.

Disertare e costruire speranza, diceva anche qualcosa che somigliava a questo, e all'idea di un reddito di felicità per tutti.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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