Dl Autonomia, Bianchi (Svimez): “Da Calderoli una riforma anacronistica che indebolisce il Paese”
Presentando in conferenza stampa, il 2 febbraio scorso, il disegno di legge sull'Autonomia Differenziata appena approvato in Consiglio dei Ministri, il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli ha difeso il testo dalle accuse di minare l'unità del Paese. "I cittadini di serie A, B, C sono una realtà che viviamo oggi – ha detto Calderoli -. Diversità così macroscopiche non possono essere imputate all'Autonomia Differenziata, che fino a oggi non c'è stata, evidentemente sono frutto della gestione centralista". E ancora: "La riforma al contrario mette tutte le regioni in grado di poter correre e realizzare un Italia ad alta velocità".
Luca Bianchi, direttore generale di Svimez, uno dei principali osservatori italiani sul Mezzogiorno. La convince la posizione di Calderoli?
No. È vero che i divari attualmente presenti si sono prodotti in uno Stato centralizzato. Ma un processo di Autonomia differenziata come quello proposto cristallizza queste differenze e rinuncia a provare a ridurle. Per traslare il discorso di Benigni al Festival di Sanremo, è come se si rinunciasse anche al sogno di una reale uguaglianza della cittadinanza, tra le varie aree del Paese.
Ma Calderoli sostiene che il suo testo supera il criterio della spesa storica per l'attribuzione dei fondi, favorevole alle regioni del Nord, che spendono di più per i servizi pubblici. È cosi?
No, il meccanismo esce dalla porta, ma di fatto rientra dalla finestra. Anche se lo si nega, ci sarà una cristallizzazione della spesa storica. Il trasferimento delle competenze alle Regioni che lo richiederanno, infatti, sarà fatto a risorse invariate, che vuol dire di fatto sulla base della loro spesa storica.
E però è prevista l'introduzione dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep), che stabiliranno i servizi da garantire su tutto il territorio nazionale. Non bastano per equilibrare il quadro?
Con la riforma Calderoli, i Lep sono derubricati, da elemento di garanzia di una equa distribuzione sul territorio dei diritti di cittadinanza, a mero adempimento burocratico: saranno identificati, ma senza garantirne il finanziamento. Trasferire competenze ad alcune regioni, a risorse invariate, senza aver prima finanziato i Lep, significa appunto congelare la situazione attuale, a favore dei territori più ricchi, che chiedono l'Autonomia. E ostacolare qualsiasi possibilità di riequilibrio o di nuovo investimento.
Quanti soldi servirebbero, invece, per garantire livelli di servizi adeguati in tutta Italia?
È difficile da dire, perché i Lep non sono ancora stati definiti. Il vero lavoro che andrebbe fatto nei prossimi mesi, sarebbe appunto quello di quantificarne l'aspetto finanziario. Quello che sappiamo ora è che, da un lato c'è un livello di spesa pro capite mediamente più bassa nel Mezzogiorno, rispetto al resto del Paese. E contemporaneamente al Sud ci sono servizi non erogati e bisogni non soddisfatti. Va ricordato che quando il governo Draghi ha previsto l'applicazione dei Lep ad asili nido e trasporto disabili – due materie importanti, ma di dimensione non troppo rilevante – soltanto per il finanziamento di quelle misure ha previsto un intervento, intorno ai quattro o cinque miliardi. Si può immaginare che per materie come l'istruzione, le cifre siano molto maggiori. Questo dimostra ancora una volta che non ci può essere una definizione di Lep, senza stabilire allo stesso tempo l'entità del finanziamento.
C'è un quadro chiaro delle materie e delle competenze che verranno trasferite alle regioni?
Secondo me questo è il principale limite del disegno di legge Calderoli: avrebbe dovuto prevedere un meccanismo, attraverso il quale, lo Stato potesse decidere se delegare o meno una materia, chiedendo una dimostrazione da parte della Regione, che la richiesta sia giustificata da una specificità regionale e un vantaggio per il cittadino.
Calderoli risponde: quali sono le materie che si possono trasferire non lo dico io, ma la riforma dell'articolo V della Costituzione, approvata dal centrosinistra nel 2001. Ha ragione?
Assolutamente no. Quel testo definisce le materie potenzialmente delegabili. Ma servivano criteri, sulla base dei quali valutare le ragioni effettive del perché tu Regione stai chiedendo l'autonomia su una materia. Questo è lo spirito con cui è stata scritta la Costituzione: venire incontro a specificità territoriali. Se si offre semplicemente un menu alla carta da cui ognuno prende cosa vuole, si apre il rischio, ventilato non solo da noi, che tutte le Regioni chiedano tutte le competenze. Così si definirebbero nuove Regioni a statuto speciale, alterando il senso del dettato costituzionale. E non è tutto…
Prosegua
Nell'ultimo articolo del ddl Calderoli, si fa riferimento alle delibere regionali, che hanno dato vita alle richieste di autonomia. Questo rimanda alle proposte più "estremiste", tipo quella del Veneto, che chiede il trasferimento di tutte le 23 materie, potenzialmente cedibili. E in qualche modo rievoca, anche se in modo molto indiretto, il tema del residuo fiscale.
L'idea di tenere sul territorio tutti o quasi i soldi delle tasse, pagate dai cittadini di quell'area. Un tema molto battuto all'inizio del dibattito sull'Autonomia, ma che ora sembra un po' sparito
È sicuramente passato in secondo piano, nonostante i referendum popolari del Veneto e della Lombardia sull'Autonomia siano stati approvati nel 2017, sulla base dell'illusione di poter trattenere anche il 90 percento delle entrate fiscali sul territorio. Un'idea chiaramente incostituzionale, che però è stata la principale motivazione che ha portato lombardi e veneti ad andare a votare. Detto questo, il tema del residuo fiscale è apparentemente accantonato, ma in realtà riemerge nel dibattito, nella idee su come mettere in pratica l'Autonomia differenziata, da parte di chi l'ha proposta. In questo senso, la questione spacca il Paese già a partire dall'impostazione culturale, prima ancora che nell'attuazione pratica.
Tra i temi più sensibili, c'è quello dell'Istruzione. Dopo alcune dichiarazioni che sembravano aprire all'idea di stipendi differenziati per gli insegnanti, il ministro Valditara ha fatto marcia indietro. E ha assicurato che non ci saranno programmi scolastici regionali. Cosa succederà allora?
Dipenderà dalla modalità di attuazione. Se facciamo riferimento alle proposte circolate negli anni precedenti, ad esempio, tra le richieste del Veneto, c'era quella di trasferire gli insegnanti nei ruoli della regione, Questo meccanismo – che sembra burocratico – in realtà è la premessa potenzialmente per differenziare anche i salari, oltre a porre problemi in termini di mobilità interregionale. Insomma, anche se non venissero toccati i programmi scolastici, molti osservatori hanno invitato a vigilare, perché la regionalizzazione del sistema scolastico deve essere limitata, solo ad aspetti organizzativi molto circoscritti, che non mettano in dubbio l'elemento unificante della scuola, come identità nazionale.
Altro punto al centro di polemiche è quello del coinvolgimento del parlamento nel percorso che dovrebbe portare alle intese tra Stato e Regioni sull'Autonomia. Cosa dice la riforma Calderoli su questo?
Rispetto a bozze precedenti, nel testo finale ci sono stati progressi, ma limitati. I Lep verranno attuati tramite decreti della presidenza del Consiglio dei Ministri, trattandoli come un elemento burocratico e rendendo molto marginale il ruolo del Parlamento. Anche le intese tra Stato e Regioni – pur se sono stati ampliati i tempi d'esame delle Camere – sostanzialmente rimangono non emendabili dal parlamento, che quindi deve prendere o lasciare.
Finiamo da dove abbiamo iniziato. Se per lei l'Autonomia Differenziata non è la risposta, qual è l'alternativa per ridurre i livelli di diseguaglianze tra i territori dell'Italia?
L'alternativa è l'attuazione di un federalismo simmetrico, partendo dalla legge del 2009, che paradossalmente prede il nome proprio di Calderoli. Questo federalismo però deve essere coerente con un maggior ruolo da parte delle istituzioni centrali, di indirizzo e di strategia. Il racconto del governo sull'Autonomia di questi giorni è anacronistico. Con il Covid e lo shock energetico, seguito alla guerra in Ucraina, ci siamo resi conto della necessità di politiche molto più coordinate rispetto al passato, su temi come energia e sanità. Per di più, ora dobbiamo attuare il Pnrr, che prevede una forte politica nazionale. Quindi serve una maggior forza dello Stato, accompagnata da una maggiore integrazione europea. Questa riforma invece frammenta il Paese e lo indebolisce nel suo complesso, lo rende meno competitivo. Lo ha detto detto tra gli altri il presidente di Confindustria Bonomi, che non mi pare un pasdaran meridionalista