Sono cambiate le regole sui congedi parentali e adesso ci sono i 10 giorni obbligatori per i papà. È una buona notizia, sì, ma non è una rivoluzione. Anzi, alcuni Paesi considererebbero la normativa italiana medievale.
Quando lo scorso giugno è stato approvato il decreto legislativo che portava da 7 a 10 i giorni di congedo per i papà alla nascita di un figlio, sembrava di compiere un salto culturale gigantesco. Del resto il nostro è un Paese che fa ancora fatica ad abituarsi all'idea che un uomo possa stare a casa da lavoro per accudire i figli. A chi lo fa viene spesso chiesto se si diverte a fare il "mammo", l'espressione più infelice e imbarazzante che ci possa essere.
In realtà siamo indietro anni luce. E basta guardarsi intorno per capirlo. In Spagna sia il padre che la madre hanno diritto a 16 settimane retribuite al 100%. In Svezia una coppia ha diritto a un totale di 480 giorni, 240 a testa o da dividere come meglio credano: 90 però non sono trasferibili, in modo che la cura dei figli non pesi esclusivamente su uno dei due.
Esempi come questi dimostrano quanto patriarcale e arcaica sia la visione a cui è ancorato il sistema italiano. Che riflette una cultura per cui la cura della casa e della famiglia spetti alla donna, mentre il lavoro sia qualcosa da uomini. In un orizzonte di questo tipo sembra impensabile un uomo che si stacca dal lavoro per badare ai figli, mentre magari la compagna è in ufficio. Ma altrove è (per fortuna) la normalità. Chiaramente questo non significa non tenere minimamente conto di differenze biologiche, che pur ci sono. Nessuno sta pensando di concedere solamente 10 giorni a di congedo di maternità a una donna, sarebbe assurdo.
Ma altrettanto assurdo è pensare di poter avere una società davvero paritaria concedendo solo 10 giorni a un uomo per accudire un figlio appena nato. Quando l'Inps, presentando le nuove regole sui congedi, scrive che l'obiettivo a cui queste aspirano sia il "raggiungimento di una effettiva parità di genere sia sul lavoro che in famiglia" sembra una barzelletta. Che parità si potrà mai raggiungere se uno dei genitori è obbligato a stare a casa, assentandosi quindi dal lavoro, per cinque mesi e l'altro per 10 giorni?
Questo è il nodo centrale. Per promuovere davvero l'eguaglianza di genere nella sfera lavorativa e in quella domestica servono due elementi. Pari congedi, in primis. E che siano obbligatori. Imporre un impegno paritario a entrambe le parti in famiglia aiuterebbe sicuramente a ridurre le discriminazioni sul lavoro. Come quelle che una donna subisce quando viene scartata al momento di un'assunzione o di una promozione perché potrebbe rimanere incinta e quindi assentarsi per lungo tempo da lavoro. La strada è ancora lunga. Tre giorni in più di congedo ai papà sono un passo avanti, ma microscopico. Bisogna fare molto di più.