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Diede dell’orango alla Kyenge: Calderoli “assolto” dalla Giunta del Senato

La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha stabilito che l’affermazione del leghista è insindacabile: “I membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
A cura di Davide Falcioni
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Era il 13 luglio del 2013 e – nel corso di un comizio a Treviglio – Roberto Calderoli definì l'allora ministro dell'integrazione del Governo Letta Cecile Kyenge "un orango". Un'affermazione che destò scalpore, tanto che il senatore del Movimento 5 Stelle Vito Crimi propose all'aula l'autorizzazione a procedere contro il leghista. Ebbene, quella richiesta del pentastellato è stata respinta dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato. Una decisione a dir poco bizzarra che ha indignato Crimi: "Attraversiamo un periodo storico in cui l’attacco politico è sempre più forte, ma non è comunque tollerabile che si sconfini nell’odio razziale e nella discriminazione".

Secondo la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato la condotta del vice-presidente di Palazzo Madama è insindacabile perché coperta dal primo comma dell’articolo 68 della Costituzione, in base al quale "i membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni". Proprio così: secondo la maggioranza dei membri della Giunta l'affermazione di Calderoli non è che una libera opinione. "Quando in un comizio pubblico si fanno dichiarazioni come quelle di Calderoli – ha commentato Crimi – non ci sono scusanti che tengano, meno che mai quella di essere un senatore".

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