“Deportati, picchiati e torturati”: così i migranti vengono venduti dalla Tunisia alla Libia
Si chiama State Trafficking ed è il nuovo rapporto di indagine di RRX, il gruppo di ricerca internazionale che ha deciso di usare uno pseudonimo collettivo, che è stato presentato recentemente al Parlamento Europeo e sollevando gravi preoccupazioni riguardo le violazioni sistematiche dei diritti umani delle persone migranti, lungo la frontiera tra Tunisia e Libia.
Il documento si basa su numerose testimonianze dirette, raccolte tra il 2023 e il 2024, di persone migranti sopravvissute a violenze e torture, analisi geospaziali e interviste con esperti sul campo, e documenta un sistema di traffico di esseri umani che coinvolge una rete complessa di attori, tra cui le forze armate tunisine, le milizie libiche e gruppi di trafficanti. Un rapporto che pone l'accento sulla responsabilità dei governi coinvolti e sulla necessità di azioni concrete per fermare questo traffico di esseri umani e che vuole attirare l‘attenzione sulla discussione dei cosiddetti Paesi sicuri.
Il rapporto è stato presentato in Parlamento dagli Europarlamentari Cecilia Strada, Leoluca Orlando e Ilaria Salis che hanno preso parola per condannare fermamente le pratiche in corso, discutendo sulle responsabilità dell'Europa e dei singoli stati e sollecitando l'intervento delle istituzioni internazionali. Sono intervenute anche Birgit Sippel (S&D Group), Tineke Strik (Greens/EFA Group) e Estrella Galàn (The Left Group).
La vendita di esseri umani
Al centro del rapporto, che documenta la prassi con cui la Guardia Nazionale tunisina vende esseri umani di origine subsahariana alle milizie libiche, ci sono numerosissime testimonianze dirette dei migranti venduti come schiavi tra Tunisia e Libia, in un traffico che non solo sfrutta le persone, ma le sottopone a torture, violenze fisiche, sessuali e psicologiche e a un sistema di riscatti che coinvolge enormi somme di denaro.
Secondo quanto riportato, le persone migranti vengono spesso separati in base al sesso, etnia e nazione di origine, con le donne che hanno un valore più alto e sono sottoposte a violenze sessuali: "Uomini e donne neri vengono arrestati a causa del colore della loro pelle o perché esercitano il loro diritto alla libertà di movimento", ha dichiarato Ilaria Salis, per poi aggiungere, "vengono immediatamente etichettati come stranieri, migranti illegali, persone di cui ci si può sbarazzare. "Vengono portati su degli autobus per la deportazione. Ma l'elemento più crudele è l'inganno. Viene detto loro che presto saranno rimpatriati e che tutto andrà bene".
Le persone invece vengono per prima cosa deportate in Tunisia, dove sono poi rinchiuse in campi di detenzione improvvisati o in strutture gestite da milizie e forze di polizia. Successivamente, vengono letteralmente vendute, trasferite in Libia e qui detenute in condizioni disumane, e poi scambiate per denaro, droga, o carburante, come raccontato da numerosi testimoni che hanno descritto il processo come una vera e propria "vendita" di esseri umani.
La prigione di Al Assah in Libia e le fosse comuni
Le testimonianze raccontato anche gli orrori della prigione di Al Assah in Libia che, sotto il controllo delle forze di sicurezza libiche e del Department of Combating Illegal Migration (DCIM), rappresenta uno dei principali centri di detenzione e sfruttamento delle persone migranti. Qui, le persone detenute vengono divise in base al loro "valore economico", e le condizioni di vita sono estreme. La violenza fisica, le torture e il lavoro forzato sono all'ordine del giorno; i più vulnerabili come donne e bambini sono spesso vittime di violenze sessuali e altre forme di sfruttamento. Le testimonianze parlano anche di corpi di migranti che vengono lasciati nel deserto o sepolti in fosse comuni, a testimonianza di una violenza indiscriminata che non fa distinzione tra vita e morte. Il riscatto per la liberazione varia, ma oscilla generalmente tra i 400 e i mille euro. Le donne sono quelle che "raggiungono" cifre più alte. I prigionieri sono costretti a contattare le proprie famiglie tramite telefoni e numeri puliti, non riconoscibili, per raccogliere il denaro necessario al riscatto.
La testimonianza di una vittima del traffico umano
Durante la presentazione del rapporto in Parlamento, è stata data voce anche a Djidjou Saudery, un giovane migrante che ha raccontato la sua drammatica esperienza in Tunisia. Djidjou, arrestato ingiustamente il 7 agosto e poi incarcerato a Sfax, ha condiviso la sua testimonianza di violenze e abusi da parte delle autorità tunisine e libiche.
"Era un lunedì il 7 agosto, sono andato in banca a prelevare dei soldi. Uscendo dalla banca, sono stato fermato da quattro poliziotti. Ci siamo diretti al commissariato, dove mi hanno interrogato e subito dopo sono stato trasferito direttamente alla prigione di Sfax. Tre giorni dopo sono andato in tribunale e sono stato condannato a otto mesi di carcere. Ho scontato sei mesi e due settimane nella prigione di Sfax", ha raccontato Djidjou.
Dopo il suo rilascio, il 20 febbraio, è stato trasportato con altre persone verso il confine con la Libia: "Le guardie penitenziarie mi hanno accompagnato su un autobus dove c'erano già altri migranti legati con le mani legate dietro. Abbiamo viaggiato per circa sei ore. Durante il tragitto, ci picchiavano con dei bastoni. Siamo arrivati in un campo, dove ci hanno perquisito e derubato di tutto quello che avevamo. Siamo rimasti lì due giorni, senza acqua né cibo".
Il suo racconto prosegue con il drammatico incontro con la polizia libica, le violenze e le frustate e il traffico di esseri umani: "Ci hanno separato dalle donne. Così ci hanno venduti. Gli uomini costavano circa 50 euro, mentre le donne, forse, 150".
Djidjou ha concluso la sua testimonianza con un appello: "Questa esperienza è stata un vero incubo, una prova che non augurerei nemmeno al mio peggiore nemico. Ancora oggi riemergono ricordi dolorosi. È un trauma da cui probabilmente non mi riprenderò mai. Invito davvero tutti e tutte a prestare attenzione a questa situazione. Oggi non sono più in Tunisia, ma ci sono fratelli e sorelle che in quel luogo continuano a soffrire".
Il ruolo dell'Unione Europea
Salis ha accusato direttamente l'Unione Europea di essere complice di questi abusi, e di finanziare governi autoritari come quello tunisino per esternalizzare il controllo delle frontiere. L'Italia, in particolare, porta una responsabilità significativa, avendo firmato accordi di cooperazione con la Libia già nel 2017, nel quadro del Memorandum d'Intesa che ha aperto la strada a anni di collaborazione con le autorità libiche. "L'Europa non può più chiudere gli occhi di fronte a questa realtà", ha dichiarato Salis, "i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani, incluso quello dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite dell'ottobre 2024, hanno già denunciato queste pratiche, e l'ultimo rapporto le conferma nuovamente".
"La verità non può più essere ignorata", ha concluso Salis, esortando le istituzioni europee a prendersi le proprie responsabilità e a porre fine a questa complicità con la repressione e la violenza.
"Tutto ciò è supportato dai finanziamenti dell'Unione Europea e questa cooperazione ha creato un sistema transnazionale di tratta di esseri umani. Si tratta di una grave violazione della dignità umana e dei diritti umani", ha dichiarato Birgit Sippel (S&D Group), per poi sottolineare l'urgenza di "riconoscere ufficialmente che né la Libia né la Tunisia siano considerati paesi sicuri". Per Sippel è fondamentale "creare un corridoio umanitario immediato per proteggere i testimoni che hanno avuto il coraggio di parlare, che sono ancora in Libia e in Tunisia. E creare rotte migratorie legali e sicure verso l’Europa".
Secondo Sippel, solo una strategia basata sulla solidarietà e sull'investimento in un sistema di asilo equo e dignitoso potrà offrire una soluzione sostenibile e rispettosa dei diritti umani.