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Delmastro condannato per rivelazione di segreto d’ufficio: “Non mi dimetto e cercherò un giudice a Berlino”

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, condannato a otto mesi per la divulgazione di informazioni riservate legate al caso Cospito. Nonostante la sentenza, ha ribadito la volontà di restare al suo posto, aggiungendo la necessità di un “sorteggio per eradicare il potere cancerogeno delle correnti in magistratura”.
A cura di Francesca Moriero
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"Forse questo caso dimostra che ci vuole il sorteggio per eradicare il potere cancerogeno delle correnti all'interno della magistratura", ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro al Tg1, replicando alle dichiarazioni dell'Associazione Nazionale Magistrati (Anm), che aveva affermato che per avere un giudice terzo non occorre andare a Berlino. Così Delmastro avrebbe rilanciato il dibattito sulla necessità di introdurre il sorteggio come strumento per contrastare quella che definisce l'influenza "cancerogena" delle correnti della magistratura, accusate di condizionare nomine e decisioni. Un attacco diretto a un sistema che, secondo Delmastro, rischierebbe di compromettere l'equilibrio e l'imparzialità della giustizia italiana, da tempo al centro del confronto tra politica e toghe.

Il sottosegretario ha poi continuato il suo intervento dichiarando: "Stiano pur certi che a Berlino ci vado a cercare un giudice terzo". Quanto alle richieste di dimissioni avanzate dalle opposizioni, ha aggiunto: "Credo che sia il loro sport preferito. Non ci siamo mai dimessi per le loro richieste. Abbiamo ricevuto il mandato dagli italiani per riformare la giustizia e lo porteremo a termine".

Dichiarazioni che arrivano dopo che il tribunale di Roma ha emesso ieri, 20 febbraio, la sentenza di primo grado nei confronti del sottosegretario, che lo ha condannato a otto mesi per rivelazione di segreto d'ufficio. Il caso riguarda la diffusione di documenti riservati relativi all'anarchico Alfredo Cospito, detenuto al 41-bis. I giudici hanno concesso a Delmastro le attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e l'esclusione della menzione nel casellario giudiziario; al sottosegretario è stata applicata anche l'interdizione dai pubblici uffici per un anno, mentre sono state respinte le richieste di risarcimento avanzate dalle parti civili, rappresentate da alcuni parlamentari del Partito Democratico.

Il caso Cospito e il processo

La vicenda trae origine dal gennaio 2023, quando Delmastro chiese al capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap), Giovanni Russo, una relazione della Polizia penitenziaria su Alfredo Cospito, anarchico in sciopero della fame contro il regime del 41-bis. Il sottosegretario avrebbe condiviso i documenti, contrassegnati come "a limitata divulgazione", con Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d'Italia. Donzelli, pochi giorni dopo, citò in Aula il contenuto delle relazioni per criticare alcuni parlamentari del PD, tra cui Andrea Orlando, Silvio Lai, Debora Serracchiani e Walter Verini, che avevano visitato Cospito in carcere.

"La condanna conferma in sede penale, dove siamo stati ammessi come parte civile, le valutazioni politiche già espresse nei confronti di un esponente di spicco del partito di Giorgia Meloni che, evidentemente, si è reso parte attiva di comportamenti gravi e lesivi dell'onorabilità del ruolo ricoperto, utilizzando informazioni riservate per colpire gli avversari politici", avevano dichiarato in una nota i parlamentari a seguito della notizia della condanna del sottosegretario. "Si tratta di un duro colpo per l'ex avvocato di fiducia della premier Meloni e responsabile giustizia del suo partito, prima di andare a ricoprire l'attuale incarico a via Arenula che sta svolgendo in maniera poco onorevole e poco disciplinata".

La Procura di Roma, pur riconoscendo che Delmastro aveva divulgato informazioni riservate, aveva richiesto, in un primo momento, l'assoluzione per "mancanza dell'elemento soggettivo", sostenendo che il sottosegretario non fosse consapevole della natura segreta dei documenti. Una tesi che non ha convinto il giudice, portando alla condanna in primo grado dopo che il gip aveva già respinto la richiesta iniziale di archiviazione, imponendo l'imputazione coatta.

Il processo si è quindi concluso con una condanna che Delmastro aveva già ipotizzato, senza però modificare la sua posizione: "Non mi dimetto", ha ribadito, sottolineando la sua volontà di proseguire il mandato nonostante il verdetto.

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