Il parallelo fra la Commissione Bicamerale del gennaio del '97 e la Convenzione per le riforme annunciata da Enrico Letta nel suo discorso alla Camera dei Deputati è tanto prematuro quanto abusato. Tuttavia, la possibilità che un organismo "terzo" lavori per impostare le riforme costituzionali ed istituzionali senza sfuggire all'etichetta "inciucio" è praticamente nulla, specie in un Paese che esce da vent'anni di bipolarismo imperfetto (preceduti, secondo molti, da cinquant'anni di consociativismo). È chiaro però che a livello di impatto, a determinare il modo in cui il progetto complessivo verrà accolto, saranno anche i nomi scelti. A partire dal Presidente, ovviamente. È anche per questo motivo che ha destato non poche perplessità la volontà di Silvio Berlusconi di candidarsi alla guida dell'organismo che si occuperà della formattazione e ricostruzione della macchina politico – istituzionale, mettendo nero su bianco la riforma della legge elettorale, il superamento del bicameralismo, la riduzione del numero dei parlamentari e via discorrendo.
Berlusconi infatti punta decisamente su tale carica, per una serie di ragioni che in qualche modo trascendono anche il movente eminentemente politico. C'è infatti da parte del Cavaliere l'ambizione mai nascosta di ritagliarsi un ruolo di "padre nobile" e di statista, sempre ostacolata dalla contrapposizione politica e dal suo ruolo di candidato di bandiera. Ora invece le larghe intese hanno "fatto cadere il tabù" e Berlusconi, dopo aver regalato ad Alfano visibilità ed autorevolezza, potrebbe lasciare la diretta guida del partito per sistemarsi comodamente a capo del tavolo delle riforme. C'è poi un dato tutto politico, che rimanda alla necessità del Popolo della Libertà di caratterizzare fortemente il processo di riforma dell'architettura istituzionale del Paese. Un intento evidente anche nella scelta di Quagliariello a capo del ministero per le riforme. Infine, c'è quello che Paola di Caro sul Corsera chiama il "doppio salvacondotto": "Per il Cavaliere la guida della convenzione sarebbe un doppio salvacondotto. Morale perché ne farebbe il Calamandrei della Terza Repubblica, ma anche giuridico, dicono i maliziosi, perché potrebbe essere usato spesso e volentieri il legittimo impedimento".
È chiaro che una eventuale indicazione di Berlusconi alla guida della Convenzione rischia di provocare ben più di qualche mal di pancia, soprattutto in quela parte del Pd che già ha digerito a fatica la rinuncia alla linea del cambiamento e l'appoggio al governo delle larghe intese. Del resto, si tratterebbe della conferma del "patto di ferro della vecchia politica" e probabilmente della pietra tombale su ogni ipotesi di allargamento del processo di riforma alle opposizioni parlamentari. Come anticipato da Crimi, infatti, "dal Movimento 5 Stelle solo sdegno rispetto a questa ipotesi". Un rischio che forse Letta non intende correre, anche considerando la "garanzia" data al Pdl con il via libera a Quagliariello per le riforme.