C'è un passaggio molto importante del nuovo decreto sul coronavirus, pensato proprio per dare una cornice più ampia e chiara ai vari Dpcm di questi giorni. Come noto, il governo si riserva la facoltà di adottare nuove restrizioni su aree specifiche del territorio nazionale o in tutto il Paese, con la durata massima di 30 giorni. Il meccanismo è interessante, anche se non del tutto innovativo: le norme saranno emanate tramite Dpcm, su proposta del ministro della Salute e dopo un confronto collegiale con altri ministri e, nel caso di provvedimenti per aree delimitate, i Presidenti di Regione (cui si lascia la facoltà di proporre altre proposte specifiche da adottare sempre tramite Dpcm).
Fino a qui, tutto estremamente condivisibile, visto che la linea del governo risponde alla volontà di concertare con le Regioni una strategia unica, o almeno non confliggente, senza intaccare le prerogative speciali che la Costituzione garantisce in materia sanitaria. Evitare le conflittualità, privilegiare le mediazioni e le decisioni collegiali: una intenzione esplicitata anche da Conte in conferenza stampa, con la dovuta precisazione sulle misure restrittive della libertà personale, che devono restare di competenza dello Stato.
Il problema, però, è che il decreto stesso poi finisce per ampliare il margine di manovra delle stesse Regioni, proprio su una materia così delicata. Lo fa in modo indiretto, per così dire. Infatti, all'articolo 2 si prevede che per ragioni sanitarie i Presidenti di Regione possano adottare motu proprio o in via di urgenza misure di contenimento più restrittive da sottoporre alla valutazione del ministro della Salute, della Difesa e degli Interni e poi eventualmente convertire con apposito Dpcm. Stesso discorso (articolo 3) per le misure di carattere più generale (limitazione della circolazione delle persone, chiusura di locali pubblici eccetera), che valgono nelle more di un decreto del'autorità centrale: "Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attivita' di loro competenza e senza incisione delle attivita' produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale".
Letta così, sembrerebbe che il governo centrale si riservi sempre l'ultima parola nel caso di iniziative unilaterali dei Presidenti di Regione. Una scelta necessaria per impedire che ogni Regione faccia di testa sua su norme e indicazioni che rischiano di incidere sulla vita delle persone per molte settimane ancora, replicando il caos visto recentemente anche in ambiti molto più delicati (ed esclusi anche da queste norme), come la gestione del campionamento tramite tamponi e dell'aumento dei posti di terapia intensiva (che restano di competenza regionale, malgrado da Chigi continuano a usare la locuzione "di concerto con").
All'atto pratico, le cose potrebbero però andare diversamente e questo tentativo del governo potrebbe avere ben più di qualche controindicazione. Data la delicatezza della materia e l'enorme carico di emotività annesso, appare molto difficile che il governo centrale possa prendersi la responsabilità di ostacolare le scelte di un governatore, a maggior ragione se sostenuto dall'opinione pubblica. Come prendersi la responsabilità di bloccare, per esempio, le "sceriffate" di De Luca su temi tanto marginali quanto sentiti dall'opinione pubblica? Come delimitare, in questo contesto, ciò che è "di urgenza" o di particolare rischio sanitario? Come impedire l'eccesso di zelo di alcune Regioni (ricordiamo la questione Marche, ora in piena emergenza) su questioni così delicate? Come intervenire sulle imposizioni di chiusure, quarantene ad personam, obblighi particolari in tema di utilizzo di DPI prese da Sindaci sollecitati da cittadini o convinti da eventi specifici e non sempre chiarissimi?
Il rischio, nemmeno tanto lontano, è che tante regioni possano trovarsi ad avere norme diverse nello stesso intervallo di tempo, non sempre per ragioni comprovabili o urgenti. E che al disastro dell'assenza di una comune strategia di contrasto al coronavirus si sommi il caos di ordinanze e norme di Comuni e Regioni.