Ha ragione Ciro Pellegrino che, da conoscitore delle cose campane, ha parlato nel suo articolo di ‘sistema' De Luca come "paurosamente logoro". Ed è inevitabile che ci sia uno stuolo di esultanti pronti al primo cigolio del governatore campano che incassa un'inchiesta in cui ci sono tutti gli ingredienti della solita, consunta politica degli scambi e dei favori. Ma non è il punto giudiziario che tanto mi interessa in questi giorni quanto piuttosto l'impressionante sintesi di vizi che fa di De Luca il paradigma della politica vecchia, quella che il M5S vuole scardinare ma (e questo è più interessante) anche quella che Renzi ha promesso di superare. Fermiamoci un attimo.
Il bullismo verbale che si fa prepotenza (e poi minaccia)
Nella schiera di politicanti che appuntiscono le parole per mostrare i muscoli abbiamo avuto negli ultimi anni quasi tutte le diverse declinazioni: la rivoluzione casereccia e il celodurismo in canottiera di Umberto Bossi, l'esibizionismo penale (in entrambi i sensi) di Silvio Berlusconi, il pugno di ferro e la scopa di saggina di Maroni, il destrismo sguaiato di La Russa, il rosario di fanculo di Grillo, la fiera anaffettività della Santanché e poi Craxi, il cattocinismo di Andreotti fino alle felpe di Salvini indossate come scalpi. La politica ha visto negli anni un proliferare sempre maggiore di "pugni di ferro" che hanno fatto credere di essere l'unico porto rassicurante in cui approdare nei tempi diversamente confusi. È un modello consueto, abbiamo imparato a riconoscerlo subito e (nonostante i voti a pioggia) sappiamo bene cosa richiede la recitazione di quel ruolo. De Luca invece ha preteso di rendere potabile la minaccia: incapace di una finezza urlata ma anche di una commestibile provocazione il bullismo verbale di De Luca è un martello sul cranio del nemico, violenza al chilo, macelleria oratoria che alla lunga finisce per muovere una risata di compassione. Mentre gli altri costruiscono il personaggio del bullo sui nemici lui, De Luca, senza nemici non esisterebbe. È solo la sua petulante minaccetta.
L'inversione della Giustizia
Abbiamo sentito parlare di "magistratura ad orologeria", di "giustizia politicizzata" e di "giudici che decidono le sorti dei governi". Tutti coloro che hanno attaccato in questi anni la giustizia (Andreotti ne è stato il principe, Berlusconi il mattatore ma sono molti che hanno invocato la giustizia ingiusta) hanno cercato di difendersi dai processi piuttosto che nei processi: qualcuno rimandando alla volontà popolare come giudice supremo, qualcun altro professandosi masaniello contro i poteri forti. Vincenzo De Luca invece, in una conferenza stampa che farebbe gola a Kafka per insensatezza e gustosa contraddizione, dichiara di essere parte lesa. Inverte la giustizia. Non spara cannonate contro chi lo accusa per tenere pulita la propria innocenza, no: stende una dichiarazione che parte dal presupposto che gli tocchi stare in un mondo di cretini, a cercare di aggiustare le cose. E intanto le inverte.
Il personalismo diventa un "personaggetto"
Anche sulle manie di protagonismo De Luca riesce ad andare oltre, dove la soglia però è semplicemente il limite della pateticità. Per voler essere gigante continua a paventare un mondo di nani, incapace di andare sui contenuti trasforma la propria rabbia in una nuova maschera dell'arte e finisce per diventare un'icona. Vincenzo De Luca è uno di quelli che ha ricevuto luce dalla satira, che invece dovrebbe allargare le ombre per missione. Quando capiremo che ridere della sua maleducazione ostinata sta facendo il male di una Regione sarà troppo tardi. Come i figli troppo grandi per essere raddrizzati.
L'utile idiota
Peggio di Ignazio Marino, Vincenzo De Luca sta riuscendo nell'impresa di agevolare il commissariamento costante di Renzi (dei governi e del suo partito): la cancellazione della classe dirigente del PD in Campania ventilata oggi dai vertici del PD è solo l'ultimo atto di una politica più tecnica dei tecnici dei tempi di Monti: commissari in ogni dove con la democrazia sospesa e, in più, i commissari sono spesso i migliori servitori del Presidente. Così l'Italia (e il PD) diventano in fretta il box dei giochi del bimbo Renzi a cui basta l'errore per potere mettere "in pausa" la democrazia. Oggi De Luca (con la frase del Presidente del Consiglio "governi se ne è capace") comincia a sentire il tic tac che ha indolenzito Enrico Letta, Bersani, Ignazio Marino e qualche altro. La fine è già chiara, al massimo si gioca sulla durata. Doveva cambiare il mondo e invece e l'ennesimo utile idiota.