Dazi, Frescobaldi (Unione Italiana Vini) a Fanpage.it: “È uno shock fortissimo, ma possiamo superarlo”

All'indomani dell'annuncio del presidente Usa Trump sull'imposizione di dazi al 20 percento sulle merci importate dall'Europa, l'Unione Italiana Vini ha presentato una prima stima sulle possibili conseguenze per l'export del settore negli Usa. In particolare, secondo la più importante associazione delle imprese vitivinicole italiane, per mantenere i prezzi inalterati alle nuove condizioni ed evitare l’uscita dal mercato americano di buona parte delle produzioni, sarebbe necessario un taglio dei ricavi pari a 323 milioni di euro l'anno. Abbiamo chiesto al presidente di Uiv Lamberto Frescobaldi di spiegarci meglio l'impatto dei dazi sui nostri prodotti vinicoli.
Presidente Frescobaldi, quanto sono importanti gli Stati Uniti per l'export dei vini italiani?
Gli Stati Uniti sono un mercato estremamente importante per i vini italiani e per gli spiriti in generale, valgono quasi 2 miliardi di euro, il 24 percento sul totale dell'export nel mondo. Faccio solo un esempio: a New York su Madison Avenue, ci sono più ristoranti italiani, che di qualsiasi altra tipologia. E pensiamo a quanto è radicata la comunità italiana negli Usa. Insomma per noi questo dei dazi è uno shock fortissimo, come se la madre diventasse tutto a un tratto matrigna.
Quanto e cosa cambia con l'introduzione dei dazi?
Dovremo avere i nervi saldi, far valere gli sforzi che abbiamo fatto in questi anni sulla qualità dei prodotti e i grandi investimenti compiuti. Per alcuni produttori l'impatto sarà maggiore per altri più contenuto. Probabilmente chi ha un prodotto molto richiesto potrà permettersi di dire: o così o niente. Altri invece dovranno scendere a più miti consigli. Ognuno sarà libero di intraprendere una trattativa. Il risultato comunque è che ne usciamo tutti perdenti: i consumatori che pagheranno il prodotto di più in America, con un aumento dell'inflazione. I produttori che dovranno tagliare prezzi, perché se no uscirebbero dal mercato. E anche gli importatori e i distributori americani. Bisognerà capire chi dovrà fare più sacrifici.
Per questo voi proponete un patto tra tutti i soggetti della filiera – imprese italiane ma anche importatori e distributori d'Oltreoceano – per condividere gli oneri, così da mantenere fermi i prezzi finali?
Sì esatto, ma non posso dire oggi le modalità con cui andrà realizzato. Non voglio in nessun modo togliere le possibilità a ciascuno dei produttori di poter fare una trattativa. Ognuno farà quello che potrà fare a seconda del prodotto che ha. Consideriamo che un euro speso in Italia ne settore genera 4.5 dollari in America, quindi se noi manteniamo la consapevolezza che abbiamo un prodotto abbastanza importante in mano, potremmo tranquillamente chiedere anche agli altri soggetti della filiera uno sforzo.
Nell'analisi di Uiv si scrive che il 76 percento dei 480 milioni di bottiglie italiane spedite negli Usa lo scorso anno si potrebbero trovare ora in "zona rossa", per un valore di circa 1,3 miliardi. Si può fare una mappa di quali sono i prodotti più a rischio?
I vini più a rischio sono quelli che noi abbiamo venduto con il nome generico della varietà: i merlot, i cabernet, i pinot grigi, che possono essere più facilmente sostituiti. Cosa che è più difficile fare invece di fronte vini con una forte denominazione, ad esempio l'Amarone, il Brunello di Montalcino, il Barolo. E soprattutto di fronte a quelli dei grandi produttori, per cui c'è una richiesta specifica.
Quando vedremo i primi effetti dei dazi?
Già tra un mese. Intanto però nei prossimi giorni al Vinitaly ci saranno i primi confronti con i buyer americani, che comunque per ora hanno tutti confermato la loro presenza, un piccolo segnale positivo.
Perché chiedete all'Europa di evitare una "ritorsione" sugli alcolici made in Usa importati da noi?
Perché i contro-dazi certamente scatenerebbero una reazione ancora più forte. Ricordiamo che l'America ha bisogno dei nostri prodotti, dal vino ai formaggi. L'importante è non farsi prendere dal panico, perché il fallo di reazione sarebbe punito.
C'è qualcosa che chiedete di fare al governo?
Il governo secondo me ha lavorato molto bene in questo in questo frangente, dicendo chiaramente che la responsabilità di gestire la situazione in mano all'Unione europea. L'Europa è un mercato unico siamo tutti insieme legati e insieme possiamo più facilmente rispondere a questi a questi attacchi con una voce sola.
Va quindi evitato un derby per esempio tra vini italiani e francesi per provare a ottenere uno sconto da Trump e guadagnare così competitività rispetto agli "avversari"?
In questi casi qualcuno può pensare "mors tua, vita mea", ma se diventiamo divisi e piccoli, fronteggiare giganti come Stati Uniti – ma anche Cina e Russia – diventa impossibile.
Per l'industria vitivinicola italiana è possibile immaginare di sostituire in tutto o in parte il mercato Usa con altri sbocchi commerciali?
Gli Stati Uniti sono un mercato difficilmente sostituibile, specie per alcuni prodotti. Pensiamo al successo straordinario che il pinot grigio ha avuto lì negli ultimi anni, diventando un prodotto di moda. Però io dico: aiutati che Dio t'aiuta, adesso dobbiamo prendere le gambe in spalla. Abbiamo sempre avuto nella valigetta lo spazio per mettere le nostre bottiglie e andremo in giro per il mondo a cercare nuovi spazi di mercato come abbiamo sempre fatto, con umiltà e determinazione. Pur sapendo che gli Usa non si possono sostituire in toto. Mi faccia dire un'altra cosa però…
Prego.
Io non metterei la mano sul fuoco sul fatto che questi dazi dureranno a lungo. Trump dirà di averci dato uno schiaffo, ma gli schiaffi non si possono dare tutti i giorni A certo punto dovremo anche trovare un equilibrio per andare avanti perché Europa e Stati Uniti hanno bisogno l'uno dell'altro. E ricordiamoci che i nostri prodotti sono fatti bene, la qualità è alta. Certo il tono e l'atteggiamento di Trump di ieri ci ha tramortito, ma stamattina siamo ancora vivi.