Davvero il governo può decidere di non arrestare Netanyahu se viene in Italia? Lo spiega la giurista
Ha sollevato grandi polemiche politiche la decisione della Corte penale internazionale, che ha emanato un mandato d'arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant e anche Deif, capo militare di Hamas che Israele ritiene di aver già ucciso in un bombardamento. Contemporaneamente, la Corte ha anche respinto i ricorsi dello Stato israeliano sulla giurisdizione Micaela Frulli, professoressa ordinaria di Diritto internazionale all'Università degli studi di Firenze, ha risposto alle domande di Fanpage.it su cosa possa accadere adesso.
Da una parte c'è la questione degli Stati che potrebbero decidere di non rispettare il mandato d'arresto. Il vicepremier e segretario leghista Matteo Salvini ha detto apertamente che in Italia Netanyahu "è il benvenuto" e che quindi il governo sarebbe pronto a non applicare il mandato.
Questa non è la posizione ufficiale dell'esecutivo di Giorgia Meloni, ma Frulli ha spiegato che non sarebbe la prima volta che uno Stato viola l'obbligo di cooperare con la Corte. Dall'altra parte c'è il futuro del premier israeliano: chi ha l'obbligo di arrestare Netanyahu, in quali occasioni, e cosa succederebbe dopo se la cattura avvenisse.
Professoressa, ora che il mandato di arresto internazionale è stato emanato, cambia qualcosa per la posizione di Benjamin Netanyahu come leader del governo israeliano?
Israele non è parte alla Corte penale internazionale, quindi non la riconosce. Sicuramente per loro non si porrà un problema sul ruolo di governo del premier.
La situazione cambia se Netanyahu si sposta in un altro Paese?
Il problema sorge quando si dovrà spostare, sì. I Paesi che sono parte allo Statuto della Corte penale internazionale avrebbero l'obbligo di arrestarlo. Chiaramente questo non vale per i Paesi che non sono parte, ad esempio gli Stati Uniti.
Perché dice che "dovrebbero" arrestarlo?
Molti invocheranno la questione dell'immunità del capo del governo in carica.
Cioè?
È una norma del diritto internazionale che prevede che quando sono in carica – e solo finché sono in carica – i capi di Stato, di governo e i ministri degli Esteri abbiano immunità quasi assoluta dai procedimenti, e anche da ogni forma di arresto e coercizione (quest'ultima è la cosiddetta "inviolabilità personale").
D'altra parte, però, gli Stati che sono parte alla Corte penale internazionale hanno anche l'obbligo di rispettare il mandato d'arresto. Per loro, quindi, le due norme sono in conflitto. E va sottolineato che nessuna delle due regole ‘sopravanza' l'altra, hanno la stessa forza. I governi devono fare una scelta, e assumersene le conseguenze.
Matteo Salvini ha detto che il premier israeliano sarebbe "il benvenuto" in Italia. La posizione ufficiale dell'esecutivo per adesso è di attesa e confronto con altri Paesi, ma resta la questione: stando alle norme internazionali, il governo potrebbe effettivamente decidere di non eseguire l'arresto?
Anzitutto, se posso dirlo, mi paiono dichiarazioni poco opportune perché quello che ha formulato l'incriminazione è un alto organo di giustizia. Ci sono stati tre giudici che hanno convalidato questi capi d'accusa. Mi sembrerebbe più opportuno avere un dei toni più misurati. Anche perché questi mandati di arresto sono un segnale forte, che dimostra che la Corte così come incrimina Putin, giustamente, per l'aggressione e per i crimini contro l'Ucraina, incrimina anche leader dei Paesi politicamente vicini agli Stati occidentali. A dimostrazione che è un organo imparziale e indipendente.
Detto questo, siccome l'immunità dei capi di Stato e capi di governo esiste, l'Italia si può appellare a questa norma. Ma contemporaneamente violerebbe le norme sugli obblighi di cooperazione con la Cpi. Se questo accadesse, probabilmente andrebbe incontro a delle sanzioni.
Quali sono le conseguenze per chi non rispetta i mandati d'arresto?
In casi passati, alcuni Stati non arrestarono al-Bashir, presidente del Sudan incriminato quando era in carica. Quegli Stati poi furono condannati dalla Corte per mancata cooperazione. È una scelta politica che molti Stati fanno. Ancora pochi mesi fa la Mongolia non ha arrestato Putin, nonostante sia uno Stato parte della Cpi.
Concretamente sono previste delle sanzioni?
La Corte penale internazionale non è dotata di una propria forza di polizia, o di un proprio apparato coercitivo. Si deve appoggiare sulla cooperazione degli Stati, come avviene per il diritto internazionale in generale: se la cooperazione non c'è il meccanismo non funziona. Anche nell'ipotesi dell'Italia che non applica il mandato di arresto per Netanyahu ci sarebbe probabilmente una decisione che sanziona la mancata cooperazione, ma senza altre conseguenze economiche o giuridiche.
In sintesi, fino a quando Netanyahu sarà in carica è molto più probabile che non sarà arrestato?
Sì. Dopodiché, siccome Israele è uno Stato democratico, resta la possibilità di un cambio di governo. Cosa che potrebbe anche avvenire relativamente a breve, osservando le contestazioni a cui è stato sottoposto il premier. Se quando ci saranno le elezioni lui decadrà dal potere, non ci saranno ostacoli giuridici per il suo arresto. Come al momento non ci sono per Gallant, che era il ministro della Difesa ma non fa più parte del governo.
A quel punto, rifiutarsi di eseguire l'arresto sarebbe una pura e semplice violazione degli obblighi internazionali?
Sarebbe scelta politica più grave, che implica una responsabilità giuridica univoca. Purtroppo l'Italia non brilla per aver dato attuazione alle norme dello Statuto della Cpi. Ad esempio, ancora ci mancano nel Codice penale i crimini contro l'umanità perché non abbiamo inserito tutti i capi d'accusa previsti dallo Statuto nel nostro Codice penale. Era partito un progetto per farlo qualche anno fa, sotto la ministra Cartabia, ma poi è stato archiviato da questo governo.
Facciamo un esempio concreto: se domani il premier israeliano dovesse andare in uno Stato che riconosce la Cpi e decide di applicare il mandato di arresto, cosa succederebbe?
Il mandato d'arresto non ha bisogno di una convalida da parte del giudice nazionale, quindi le forze di polizia potrebbero arrestarlo e consegnarlo direttamente alla Corte penale internazionale, operando attraverso gli strumenti di cooperazione giudiziaria e tra le forze di polizia. Dal punto di vista tecnico, sarebbe semplice.
Quali sarebbero i passaggi successivi? Si andrebbe a processo?
Si inizierebbe il procedimento. La Procura comincerebbe a formulare le accuse in maniera molto più dettagliata e istruire la parte dell'accusa. Ovviamente ci sarebbe un team di difesa molto qualificato ad assistere l'imputato, come qualsiasi imputato di fronte alla Corte penale internazionale. Dopodiché si andrebbe al primo grado del procedimento, e poi eventualmente all'appello. Le regole di procedura della Corte penale internazionale funzionano più o meno come nei sistemi penali di tutto il mondo.
Tutto questo non può succedere se prima non avviene l'arresto?
No, perché la Corte non prevede la possibilità del processo in contumacia. L'Italia la prevede, mentre diversi altri Paesi no. Quindi la Corte può agire solo nel momento in cui l'imputato è presente. È stata una decisione per evitare i processi ‘simbolici', diciamo.