Davvero il governo Meloni ha tagliato i fondi alla sanità per i prossimi anni?
La Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, o Nadef, pubblicata pochi giorni fa, è uno dei documenti più importanti per valutare cosa vuole fare il governo Meloni nei prossimi anni: partendo dalla situazione dell'economia italiana, la Nadef dà delle cifre precise alle intenzioni del governo. Nel testo ci sono diversi riferimenti al servizio sanitario nazionale: si parla di "rinnovo contrattuale" per la sanità pubblica, di "stanziamenti per il triennio 2024-2026 da destinare al personale", di nuovi decreti sul "potenziamento dell'assistenza territoriale".
Guardando le previsioni, però, molti – dalla Fondazione Gimbe alle opposizioni – hanno lanciato l'allarme e parlato di tagli alla sanità. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è difesa dicendo che è "l'obiettivo è costruire un sistema sanitario efficiente" e che "sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull'aumento o meno delle risorse", perché bisogna "concentrarsi su come quelle risorse vengono spese". D'altra parte, però, da tempo i medici chiedono a gran voce che ci sia un incremento dei soldi investiti nel settore. Numeri alla mano, ecco cosa ha deciso il governo Meloni per la sanità pubblica.
Come funzionano i fondi alla sanità e cosa vuole fare il governo Meloni
Quando si parla di risorse alla sanità, le cose possono farsi complicate. In generale, al sistema sanitario arrivano soldi da quattro fonti: le entrate delle Asl, come i ticket; i soldi che vengono dalle Regioni, con una parte di Irap e Irpef; e infine i fondi dello Stato, con Iva, accise sui carburanti e un apposito Fondo sanitario nazionale (Fsn).
La Nadef parla solo della parte di cui si occupa lo Stato, che comunque è una fetta importante dei fondi totali. Il governo Meloni ha messo nero su bianco che i soldi a disposizione del Fsn caleranno di circa due miliardi di euro il prossimo anno: da 134,7 miliardi di euro nel 2023 (pari al 6,6% del Pil), a 132,9 miliardi nel 2024 (ovvero il 6,2% del Pil).
Negli anni tra il 2020 e il 2022, l'investimento dell'Italia nella sanità è stato particolarmente alto, ovviamente a causa della pandemia da Covid-19: rispetto ai 114 miliardi di euro del 2019 (6,3% del Pil), si è arrivati ai quasi 131 miliardi del 2022 (6,8%), secondo dati dell'Ocse. Guardando solamente ai soldi investiti, nei prossimi anni i fondi resteranno su livelli tutto sommato simili: la Nadef prevede 132,9 miliardi di euro nel 2024, poi 136 miliardi nel 2025 e quasi 139 miliardi nel 2026. Una cifra decisamente superiore se paragonata al periodo pre-Covid.
Insomma, l'anno prossimo ci sarà un calo, e poi le cifre resteranno stabili su un livello più alto che in passato. Perché, quindi, si parla di un taglio non solo per il 2024, ma per tutti i prossimi anni?
Innanzitutto, va detto che questi numeri assoluti non tengono conto dell'inflazione: specialmente quando è su livelli alti come quelli attuali, il tasso d'inflazione fa sì che la stessa quantità di denaro ‘valga meno' ogni anno. I prezzi aumentano, e così con gli stessi soldi si possono acquistare meno attrezzature, pagare meno stipendi, eccetera. In più, guardando la percentuale del Pil che viene investita, le cose diventano ancora più chiare.
Perché si dice che ci sarà un taglio ai fondi anche nei prossimi anni
La percentuale di Pil è un criterio usato spesso per indicare quanto uno Stato spende in un settore. Non è un dato assoluto: se il Prodotto interno lordo di un Paese cresce – come si prevede che faccia quello italiano nei prossimi anni – allora la stessa quantità di Pil significa una somma di denaro più alta dell’anno prima. Il dato sulla percentuale di Pil però può aiutare a capire quanto è rilevante un tema per il governo, e quindi quanto del proprio bilancio ci vuole investire.
Nel 2020, anno di inizio della pandemia, per il Servizio sanitario nazionale lo Stato ha speso una cifra pari al 7,26% del Pil, sempre secondo l'Ocse. Un balzo in avanti rispetto all’anno precedente, quando la spesa era stata pari al 6,37%. Nel 2024, prevede la Nadef, la spesa scenderà al 6,2% del Pil, poi resterà stabile l’anno dopo, e infine andrà al 6,1% nel 2026. Si tratterebbe del dato più basso dal 2003.
Insomma, da una parte la quantità assoluta di denaro stanziato sarà in lieve crescita, dall'altra la percentuale di Pil diventerà sempre più bassa. La volontà sembra quella di non confermare l'aumento di investimenti nella sanità a cui il Covid aveva obbligato l'Italia. Va detto che la Nadef del 2022, nella versione stilata dal governo Draghi, era anche più pessimista da questo punto di vista: prevedeva che il finanziamento sarebbe sceso al 6,1% del Pil già nel 2025. E l'anno ancora prima, nella Nadef del 2021, questa soglia era fissata per il 2024. Insomma, i tagli alla sanità sono stati una costante negli ultimi anni – con l'eccezione del periodo pandemico – e il governo Meloni non ha cambiato linea rispetto ai suoi predecessori.
Perché il tasso d'inflazione peggiora la situazione
Come detto, l'andamento della spesa assoluta prevista dal governo Meloni – dai 134 miliardi del 2023, ai 132 miliardi del 2024, fino ai 139 miliardi del 2026 – andranno pesati nel tempo anche in base all'inflazione. Negli ultimi 10 anni la quantità di miliardi di euro dedicati alla sanità è quasi sempre cresciuta. Nello stesso periodo, e sopratutto negli ultimi due anni, l’inflazione è però aumentata più dei fondi per il Servizio sanitario nazionale. Lo aveva spiegato report della Fondazione Gimbe, riferimento al periodo dal 2010 al 2019: il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto "in media dello 0,9% ogni anno, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua, pari a 1,07%". Ogni anno, quindi, mentre i miliardi aumentavano, diminuiva il potere d’acquisto del sistema sanitario italiano.
Anche secondo uno studio della fondazione The bridge, il problema è di lunga data: dal 2007 al 2017 il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 36mila posti letto, con una diminuzione delle strutture di ricovero più forte tra quelle pubbliche (-22%) che tra quelle private (-11%). Guardando ancora più in là negli anni, l’Italia è passata dai 12 posti letto ospedalieri per ogni mille abitanti del 1969, ai 3,5 posti del periodo pre-pandemia. Dal 2007 al 2019, il personale negli ospedali pubblici è calato del 7%, i medici del 6%, gli infermieri del 5%.
Nel 2022 e 2023, poi, l'inflazione è tornata a livelli che non si vedevano da decenni. I prezzi sono saliti in media dell'8,1% l'anno scorso, e ci si aspetta che per il 2023 il risultato sarà ancora al di sopra del 5%. Questo rende ancora più pesante il taglio di 2 miliardi per l'anno prossimo, e potenzialmente più deboli gli aumenti negli anni successivi.
Il programma del centrodestra alle scorse elezioni, per quanto riguarda la sanità, prevedeva uno “sviluppo della sanità di prossimità e della medicina territoriale”, un “incremento dell’organico di medici e operatori sanitari” e un “abbattimento dei tempi delle liste d’attesa”, oltre all’estensione delle prestazioni mediche che non richiedono il ticket, per rendere più accessibili alcuni servizi sanitari. Tutte queste misure richiederebbero maggiori investimenti. Non è chiaro quindi, al momento, da dove verranno le risorse per metterle in pratica. Anche per questo, forse, Meloni ha insistito