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Dall’eredità di Michela Murgia al caso Cecchettin: perché il 2023 è stato un anno di presa di coscienza

Dall’elezione della segretaria del Pd Elly Schlein ai femminicidi di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, con l’ondata di rabbia e indignazione che ne è scaturita. Ecco perché il 2023 non è stato un anno come gli altri per le donne e per la lotta al patriarcato.
A cura di Jennifer Guerra
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Nella storia dei femminismi si tende sempre a identificare un anno di svolta: per la prima ondata, quella a cavallo tra Ottocento e Novecento, è il 1848, anno della conferenza di Seneca Falls, la prima della storia del movimento di liberazione femminile; per la seconda, tra gli anni ’60 e ’70, è il 1975, anno soprannominato “il Sessantotto delle donne”; per la terza, è il 1995, quando si tenne la conferenza di Pechino che segnò una nuova era per i diritti delle donne. Oggi siamo nel pieno della quarta ondata del femminismo e per quanto possa essere difficile fare una storia del presente, non c’è dubbio che questo 2023 – almeno in Italia – sia stato un anno decisivo.

Questo è stato non solo un anno di grandi speranze e grande rabbia, ma anche l’anno in cui la parola “patriarcato” è finalmente entrata nel vocabolario comune, pronunciata in prima serata in tv, scritta sui quotidiani più diffusi. È stato l’anno in cui ogni notizia che riguardava le donne, e più nello specifico la violenza di genere, ha scatenato un’indignazione che mai si era vista prima e che non è rimasta confinata ai social o al dibattito di qualche giorno.

L’anno si è aperto con l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico, che vinse contro Stefano Bonaccini grazie soprattutto ai voti dei non iscritti al partito. Al di là del bilancio che ora si può stilare dopo quasi un anno di segreteria, la nomina di Schlein è stata una scommessa su un modo diverso di fare politica, una dimostrazione di fiducia verso una candidata che ha sempre parlato apertamente di femminismo e di diritti LGBTQ+ e che per questo è stata scelta soprattutto dalle nuove generazioni.

Nel frattempo, il primo anno di governo Meloni ha dato molti motivi per mobilitarsi: dagli attacchi obliqui al diritto d’aborto con la progressiva legittimazione delle associazioni e dei movimenti anti-scelta, passando per l’uso strumentale della gestazione per altri per colpire le famiglie arcobaleno. In tutto questo, la premier ha più volte tentato di presentarsi come una vera difensora delle donne, basando tutta la sua narrazione sul proprio vissuto personale. Ma le azioni concrete intraprese dal governo in questa direzione sono insufficienti, se non disastrose: con l’ultima revisione del Pnrr sono stati tagliati oltre 100mila posti negli asili nido, mentre il governo annunciava in pompa magna le proprie politiche nataliste presentandole come iniziative per la parità di genere. La strategia di contrasto alla violenza di genere si è basata solo sull’inasprimento delle pene e i fondi necessari per iniziative concrete e per la prevenzione sono stati approvati nella nuova legge in materia solo grazie a un emendamento dell’opposizione.

L’indolenza del governo sulle questioni femminile non ha però impedito di tenere fede al primo punto del programma elettorale di Fratelli d’Italia, la “piena applicazione della legge 194/78”. Ora che i gruppi antiabortisti sono sempre più presenti nel servizio pubblico e si paventa una legge per imporre alle donne che vogliono interrompere una gravidanza di ascoltare il cosiddetto battito fetale, il 2023 è stato scandito anche dal ritorno del dibattito sull’aborto e i diritti riproduttivi, anche grazie a vicende come quella della culla per la vita e al naufragio della proposta di rendere gratuita la pillola anticoncezionale.

Ma il tema che ha più risvegliato le coscienze nel 2023 è stato quello della violenza di genere. I casi dei figli di Ignazio La Russa e Beppe Grillo, il primo indagato e il secondo imputato per violenza sessuale di gruppo, hanno mostrato come potere e violenza si intreccino in un legame difficile da spezzare. Le dichiarazioni dei due politici, intervenuti in difesa dei figli con dichiarazioni pubbliche, hanno fatto arrabbiare per il senso di impunità e per gli attacchi neanche troppo velati alla credibilità delle vittime. Qualche mese dopo, il caso delle molestie dell’ex compagno di Giorgia Meloni Andrea Giambruno, già protagonista di affermazioni molto gravi sulla vittimizzazione secondaria nel programma che conduceva, ha messo un ulteriore carico sul clima di rabbia che si stava creando sulla questione.

La rabbia è esplosa con due casi di femminicidio: quello di Giulia Tramontano, uccisa a maggio dal compagno Alessandro Impagnatiello mentre era incinta del primo figlio, e quello di Giulia Cecchettin, morta per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta. In entrambe le vicende, le due donne erano state date per scomparse per qualche giorno e in entrambi i casi la sensazione condivisa era quella di sapere già come sarebbe andata a finire. Tramontano e Cecchettin sono solo due delle oltre cento vittime di femminicidio di quest’anno, ma le loro storie sembrano aver toccato un nervo scoperto, portando alla luce tutta la frustrazione accumulata dalle notizie degli ultimi mesi.

Le parole coraggiose della sorella di Giulia Cecchettin Elena e del padre Gino sono state un detonatore per trasformare quella rabbia in impegno: oltre 500mila persone hanno partecipato alla manifestazione del 25 novembre a Roma, un numero mai raggiunto prima dalle mobilitazioni di Non Una Di Meno, numero a cui si devono aggiungere le moltissime altre piazze più o meno spontanee che si sono radunate in quei giorni. Il femminicidio di Giulia Cecchettin è stato così significativo non perché diverso o speciale, ma proprio per la sua normalità. La consapevolezza che ha portato è stata proprio quella che il sistema patriarcale non è l’eccezione, non è l’imprevisto, ma una realtà che ci circonda e che permea l’intera società.

È impossibile prevedere se questo anno così intenso e l’impegno che ha generato si trasformeranno in un vero cambiamento nel nostro Paese. La storia del femminismo è piena di occasioni mancate, ma anche di momenti in cui non è stato più possibile tornare indietro. Mentre ci affacciamo all’anno nuovo, l’impressione è che siamo davanti a uno di quei momenti e che ricorderemo il 2023 come l’anno in cui le cose non si poteva più fare finta di niente. Un altro grande evento di quest’anno, la scomparsa di Michela Murgia, importante pensatrice femminista oltre che grande scrittrice, ci ha lasciato anche questo compito.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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