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Dalla discriminazione ai diritti, gli esperti bocciano l’accordo Italia-Albania sui migranti

L’intesa tra Italia e Albania sul trasferimento dei migranti ha sollevato, fin dal momento del suo annuncio, molte critiche e dubbi. Il dibattito ora è approdato alla Camera, chiamata a ratificare il testo. Davanti ai deputati, docenti ed esperti della materia si sono confrontati sui punti dell’accordo. La maggior parte degli studiosi ha bocciato il progetto del governo Meloni. Vi spieghiamo il perché.
A cura di Marco Billeci
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Fin dal momento del suo annuncio, il protocollo tra Italia e Albania sui migranti ha sollevato un forte dibattito. Più di un'osservatore ne ha messo in dubbio la legittimità giuridica e sottolineato i rischi in termini di diritti. Il progetto prevede di traferire in territorio albanese, quindi fuori dall'Unione europea, una parte dei naufraghi salvati in acque internazionali dalle navi di Marina, Guardia Costiera o altre entità statali italiane. La misura dovrebbe riguardare gli stranieri provenienti da Paesi terzi considerati sicuri, che verranno sottoposti alla procedura accelerata di frontiera, in un un hotspot sotto giurisdizione del nostro governo. Dopodiché, i migranti verranno trasferiti in un centro di permanenza e rimpatrio, sempre dentro i confini del Paese balcanico.

Le differenti posizioni sul tema hanno avuto riflesso nelle audizioni in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, dove è in corso la discussione sul disegno di legge di ratifica del protocollo italoalbanese. Davanti ai deputati, si sono confrontati accademici e giuristi, che in prevalenza hanno bocciato il progetto. Il costituzionalista Alfonso Celotto ha sottolineato come l'accordo può creare discriminazioni in termini di tutele e trattamento, tra i migranti che finiranno in Albania e quelli invece sbarcati in Italia. Ancora più netta la posizione di Chiara Favilli, docente di Diritto Europeo a Firenze, per cui "è praticamente impossibile garantire nello Stato straniero lo stesso standard dei diritti in materia di asilo riconosciuti a livello nazionale". Favilli ha ricordato come una proposta simile avanzata nel 2017 dalla Francia fu bocciata dalla Commissione Ue, perché ritenuta né possibile né auspicabile.

Il confronto tra gli studiosi

Di opinione diversa il giurista Mario Savino. La sua tesi è che la giurisdizione italiana sui centri situati in Albania garantirà l'applicazione delle norme nazionali ed europee su migrazione e asilo e quindi "non prefigura una fuga dalla responsabilità, per l'accoglienza e il rimpatrio dei migranti". Savino ha inoltre evidenziato come, considerata la difficoltà di espandere la rete dei Cpr dentro il nostro Paese, per i veti di Regioni e Comuni, quest'accordo potrebbe contribuire ad assolvere l'obbligo per l'Italia di applicare le procedure accelerate di frontiera, previste da nuovo patto Ue sull'immigrazione.

A Savino ha replicato a distanza Salvatore Currieri, professore di diritto pubblico dell'Università di Enna. Currieri ha definito il protocollo Italia-Albania un modello per l'esternalizzazione dei flussi migratori, che potrebbe configurare anche una forma di respingimento collettivo. A suo giudizio, i centri albanesi non sarebbero aree extraterritoriali soggette a giurisdizione italiana, ma zone di frontiera e di transito, dove potrebbe essere violato il principio di uguaglianza, perché i migranti potrebbero avere un trattamento diverso e godere di diritti di asilo inferiori, rispetto all'Italia.

Per il costituzionalista Mario Esposito invece è sbagliato parlare di esternalizzazione o deportazione. Nella sua analisi, i migranti portati in Albania non vengono allontanati dal territorio italiano, perché  nei centri saranno in vigore le nostre leggi in materia migratoria e dunque non c'è nessuna discriminazione, rispetto a chi arriva in Italia. Anche la tutela dei diritti umani non è minacciata, perché si applicherà il diritto italiano, che prevede tutte le garanzie stabilite dal diritto europeo.

Non è vero, la normativa europea sull'asilo si applica sul territorio Ue, non in Paesi terzi, ha ribattuto Stefano Manservisi, della Science Po di Parigi. Lo studioso ha definito il sistema messo in piedi dal nostro Paese come "barocco" perché applicherà un doppio canale,  con presupposti giuridici diversi, a seconda che i migranti vengano sbarcati in Italia o in Albania. Secondo Manservisi, in questo modo il governo italiano sottrae una parte del  sistema di gestione dei flussi al supporto europeo, contraddicendo la nostra tradizionale posizione, per cui immigrazione è un problema da affrontare dall'Europa, nel suo complesso. Con una serie di possibili conseguenze: criticità su tempi e modalità dell'esame delle procedure e di detenzione; incertezza sullo status da applicare agli stranieri, a cui è riconosciuta la protezione; espulsioni ancora più difficili, perché da fare senza il supporto di Frontex o altre agenzie europee.  "È  un mistero quale sia il valore aggiunto di un provvedimento che rischia di isolare ancora di più l'Italia dall'Europa sul tema immigrazione?", ha concluso il docente.

"Un accordo illegittimo"

Molto critico anche Paolo Bonetti, professore di Diritto Costituzionale alla Bicocca. A suo giudizio, il protocollo Italia-Albania è illegittimo e non andrebbe ratificato, innanzitutto perché la legge europea impedisce di esaminare le richieste di asilo in un territorio diverso da quello del Paese a cui viene presentata la domanda. Il migrante infatti – sostiene Bonetti – ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato, mentre la sua richiesta viene vagliata. Quindi, dopo l'identificazione e la raccolta della domanda in Albania, le persone dovrebbero essere portate in Italia e non in un centro di rimpatrio sempre in territorio balcanico. Per lo studioso, inoltre, l'accordo configura una serie di discriminazioni verso gli stranieri, trattenuti nelle strutture albanesi: dalla previsione di procedure specifiche per l'asilo alle violazioni del diritto alla difesa, dal divieto di allontanarsi dai centri alla possibilità di scontare all'interno pene detentive, per chi commette reati durante la permanenza.

Più ottimista si è mostrata invece Michela Mercuri, professoressa di cultura, storia e società dei Paesi mussulmani all'Università di Padova, secondo cui il progetto può raggiungere due risultati: disincentivare l'immigrazione illegale e proporre un modello da replicare in altri Paesi come Tunisia e Libia dove, grazie alla gestione dei centri da parte italiana, si riuscirebbe a monitorare il rispetto dei diritti umani.

Al contrario, Lea Ypi – studiosa di origine albanese e professoressa di teoria politica alla London School of Economics – ha rilevato quattro punti critici. Il primo è politico perché – ha sostenuto – l'accordo rischia di promuovere un approccio bilaterale al problema dell'immigrazione. Questo se replicato da altri Stati Ue finirebbe per penalizzare i Paesi di primo approdo come l'Italia, mettendo in secondo piano la ricerca di soluzioni strutturali, con un impegno comune europeo. Ypi ha sottolineato, poi, come in Albania esista una lunga tradizione di tratta di migranti irregolari, per cui chi viene portato dalle navi italiane nei centri albanesi rischia di rientrare nel nostro Paese "dalla finestra", per mano della mafia locale. La docente ha infine rilevato la possibilità di ritardi e complicazioni burocratiche nella messa a terra del protocollo, con un conseguente aumento dei costi. E ha chiosato: "Perché spendere tutti questi soldi per un progetto che ha tutti questi problemi?".

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