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D’Alema e Profumo perquisiti, sono indagati per la vendita di aerei e navi militari alla Colombia

Massimo D’Alema e Alessandro Profumo hanno visto le loro abitazioni perquisite. La Digos è intervenuta nell’ambito di un’indagine, in atto da mesi, sulla vendita di aerei e navi militari alla Colombia per 4 miliardi di euro, che avrebbe portato ai mediatori italiani 40 milioni di euro in compensi illeciti. D’Alema ha negato ogni coinvolgimento.
A cura di Luca Pons
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Questa mattina la Digos ha perquisito le abitazioni di Massimo D'Alema, ex presidente del Consiglio, e Alessandro Profumo, banchiere e dirigente d'azienda, in passato amministratore delegato di Leonardo, azienda partecipata dello Stato nel settore della difesa. La perquisizione è arrivata perché sono in corso delle indagini per la vendita di armi e navi militari alla Colombia, già rese note negli ultimi mesi. Negli scorsi giorni erano stati perquisiti anche due broker, Emanuele Caruso e Francesco Amato, che avrebbero fatto da mediatori nella vendita utilizzando credenziali false.

Difendendosi dalle accuse emerse a inizio marzo, D'Alema aveva detto di avere da tempo di una società di consulenza, creata dopo la fine del suo mandato da parlamentare (nel 2013) e di ogni responsabilità politica. Ha detto anche di aver sempre rifiutato gli incarichi da aziende pubbliche, e ha negato di aver mai trattato una vendita e tantomeno per le società coinvolte, Fincantieri e Leonardo.

L'accusa a D'Alema: "Ha mediato la vendita di armi alla Colombia per 40 milioni di commissioni illecite"

L'accusa, nelle indagini, sostiene che negli scorsi anni "i soggetti indagati si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica –  Leonardo, in particolare aerei M 346, e Fincantieri, in particolare Corvette e piccoli sommergibili e allestimento di cantieri navali – al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro". È stato coinvolto nelle indagini anche Giuseppe Giorgi, ex direttore generale di Fincantieri.

La trattativa esiste, e questo non è messo in dubbio. Al centro delle indagini c'è però la possibilità che, nel contesto della regolare vendita di armamenti italiani alla Colombia, alcuni abbiano cercato di ricavare dei guadagni illeciti.

Secondo le carte dell'inchiesta, e in particolare il decreto di perquisizione, alcuni presunti consulenti del ministero degli Esteri della Colombia (i pugliesi Francesco Amato ed Emanuele Caruso, tramite Giancarlo Mazzotta) avrebbero avuto contatti con Massimo D'Alema, che "per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri". Con questa operazione si sarebbero raggiunti accordi per oltre 4 miliardi di euro, e le persone coinvolte nella mediazione avrebbero ottenuto un "corrispettivo illecito di 40 milioni di euro".

Sempre secondo gli inquirenti, ci sarebbero stati in totale 80 milioni di euro di ricompense illecite e l'altra metà sarebbe andata alla "parte colombiana". Sono coinvolti nelle indagini anche Edgardo Fierro Flores, capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, Marta Lucia Ramirez ministra degli Esteri colombiana, e infine German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto delegati della commissione del Senato colombiano. La divisione della somma sarebbe avvenuta sfruttando uno studio legale con sede a Miami segnalato proprio da D'Alema, il Robert Allen Law, rappresentato in Italia in questa trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo.

La difesa di D'Alema: "Non ho mediato nulla e non ci avrei guadagnato, tutelavo l'interesse dell'Italia"

D'Alema, sempre a marzo, ha ammesso a Repubblica di essersi occupato di Colombia "ma su altri temi". Ha detto poi di essere stato contattato da "personalità politiche colombiane" che chiedevano informazioni per l'acquisto di prodotti militari italiani, e di aver "informato subito Leonardo e Fincantieri". Dopodiché, ha affermato, "i contatti che sono stati avviati hanno avuto un carattere ufficiale" e hanno riguardato uno studio legale non legato a D'Alema.

In una telefonata successiva a D'Alema, un mediatore colombiano avrebbe poi lamentato di non essere stato pagato ("mi considerava il garante dell'operazione", ha detto l'ex presidente del Consiglio) e a quel punto D'Alema avrebbe pronunciato la frase emersa dalle registrazioni: "È stupido creare problemi, siamo convinti che riceveremo 80 milioni, questa è la posta in gioco". Per D'Alema il riferimento sarebbe stato alla "success fee", una commissione in caso di successo dell'affare, che si inserisce regolarmente nei contratti. L'ex presidente del Consiglio non ci avrebbe guadagnato, in un caso o nell'altro, ma avrebbe tentato di convincere i colombiani "nell'interesse dell'Italia, di Leonardo e Fincantieri che hanno un rilevante peso nel sistema economico italiano". Nel frattempo, la trattativa è stata sospesa.

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