D’Alema: “Con il crollo del Muro provai un senso di liberazione. Ora la sinistra è in crisi”
In occasione dell'anniversario della caduta del Muro di Berlino, che ricorre il 9 novembre, l'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema ha rilasciato un'intervista all'Huffington Post. Nel novembre del 1989 Massimo D'Alema era direttore de ‘L'Unità', e racconta di aver provato "Un senso di liberazione, perché anche se le prospettive apparivano incerte, la sinistra si liberava di un enorme fardello. Vale quello che mi disse qualche anno dopo Gorbaciov, quando gli chiesi se non si dovesse essere più prudenti. Lui mi rispose: ‘No, quel mondo andava abbattuto perché l'identificazione con quei regimi era un peso insostenibile per la sinistra'. Tanto più per chi come noi veniva da una esperienza, come quella del Pci, fortemente critica e dotata di grande autonomia culturale".
D'Alema sottolinea che "la fine della contrapposizione ideologica non porta a un mondo unificato, ma al riemergere di conflitti e linee di frattura, come è accaduto tra Occidente e Islam, ma anche con l'Asia e nel cuore stesso dell’Europa; nei Balcani c'è stata una guerra civile e di religione che ha fatto 300 mila morti".
Il giornalista Alessandro De Angelis ricorda che quattro giorni dopo il crollo del Muro Achille Occhetto alla Bolognina annunciò il cambio del nome del Pci: "Diciamo che le modalità mi colsero di sorpresa. Intendiamoci, che noi dovessimo cambiare e andare verso l'Internazionale socialista, confluire nel socialismo europeo, era tema di cui si discuteva da tempo tra di noi, nel gruppo dirigente ristretto del Pci, e anche l’ipotesi di cambiare nome non era un tabù", sottolinea D'Alema. Per l'ex premier si trattò di "una necessità e anche una opportunità. Io la sostenni con la preoccupazione che questo non disperdesse la forza del partito e con l’idea dell’approdo socialdemocratico, mentre, come noto, nell’idea di Occhetto c'era di andare oltre le tradizioni".
Vent'anni dopo è nato il Partito Democratico: "Io ho resistito 15 anni in difesa di quel trattino tra centro e sinistra. È stato un errore cedere. Se avessimo mantenuto l’alleanza tra una forza di sinistra e una del centro democratico, sono convinto che il centrosinistra avrebbe avuto un impianto più solido, meno esposto alle scorrerie e alle avventure tipo il renzismo. E resto convinto che avrebbe mantenuto un legame più profondo con la società italiana", spiega D'Alema, che azzarda anche una riflessione autocritica: "La sinistra in crisi in tutta Europa. Le nostre società sono divise da una frattura orizzontale. C'è un mondo di sopra che vive come una opportunità di crescita l’innovazione tecnologica, la globalizzazione e l’integrazione europea. Ma c'è una maggioranza di cittadini che vive queste trasformazione come una minaccia; con timore e preoccupazione e chiede una protezione. A questi cittadini la sinistra non è più in grado di parlare".
E ancora: "Ora io penso che il grande problema dell’Occidente sia lo sradicamento della sinistra dal suo popolo. E il punto è costruire una sinistra che riprenda una capacità di rappresentanza politica del lavoro. Il Pci non è mai stato il partito dei poveri, ma dei lavoratori, e per ricostruire un rapporto con il lavoro occorre una critica del capitalismo. Il movimento dei giovani sul clima lo è: è una specie di '68, che nasce contro un modello di sviluppo capitalistico basato sul profitto che entra in urto con l'esigenza di conservazione del pianeta".
Ma quella tradizione politica, che di cui D'Alema è stato autore e spettatore e, come dice De Angelis, anche ‘custode', non sarebbe tramontata: "Sarebbe curioso che in un mondo in cui tornano il nazionalismo, il razzismo e l'etnorazzismo, cioè le peggiori ideologie del passato, scompaiano le culture politiche che hanno dato forza alla democrazia. Le do una notizia: nel mondo c’è un ritorno importante di studi gramsciani, sarebbe giusto che si tornasse a leggere Gramsci anche in Italia".