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Dall’11 settembre al Coronavirus: quando i Presidenti della Repubblica hanno parlato alla Nazione

Mattarella, col suo discorso agli italiani sul Coronavirus, non è stato il primo presidente della repubblica a parlare agli italiani a reti unificate. Lo fece Ciampi tre volte, e prima di lui Scalfaro, Cossiga e Pertini. Cronistoria di discorsi che hanno segnato 40 anni di Storia repubblicana. E che ci fanno capire la gravità di quel che sta succedendo oggi.
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Ci sono eventi che danno il segno della gravità del momento. Uno, in Italia, è senza dubbio il discorso a reti unificate del Presidente della Repubblica. No, non stiamo parlando di quello della notte di San Silvestro, ma di quando l’inquilino del Quirinale compare nei nostri teleschermi a sorpresa, a seguito di un evento particolarmente rilevante. Nell'era dei social, dell'istantaneità e delle dirette Facebook, la scrivania del Quirinale è uno dei pochi luoghi a conservare la sacralità del momento.

Oggi, 5 marzo 2020, è stato il turno di Sergio Mattarella, che ha ritenuto opportuno parlare a una popolazione spaventata e confusa dall’emergere dell’epidemia di Coronavirus, per infondere ottimismo e per ricordare a ciascuno di noi di attenersi alle misure imposte dal governo nel suo recentissimo decreto: “Supereremo tutto, siamo un grande Paese moderno”, ha esortato Mattarella. Ma in fondo, quel che ci stava dicendo Mattarella, è che questa è una di quelle curve da cui si esce con un grande sforzo di responsabilità collettiva.

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L’ultima volta in cui un presidente aveva parlato era stato durante la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, il 2 aprile del 2005: “Piango il Santo Padre con tutti gli italiani”, aveva detto il presidente della Repubblica nel ricordare la figura di Giovanni Paolo II, spirato poche ore prima dopo una lunga malattia: “L’Italia ha perso un padre”, aveva aggiunto.

Non era stata l’unica volta che Ciampi aveva parlato all’Italia, nel corso del suo settennato. Riavvolgendo il nastro dei ricordi, un altro discorso del presidente livornese era stato pronunciato l’11 settembre del 2001, a poche ore dagli attentati di New York e Washington, e ancora il 10 giugno 1999, nel giorno in cui l’inizio del ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, la sospensione dei bombardamenti e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, avevano posto termine al lunghissimo conflitto nei Balcani. Conflitto cui avevamo partecipato proprio con la missione Nato contro la Serbia.

Prima di allora i discorsi fuori-programma dei Presidente della Repubblica erano una vera rarità. Oscar Luigi Scalfaro, il predecessore di Ciampi, si presentò a reti unificate pronunciando il celeberrimo “Non ci sto!”, quando il suo nome fu accostato a quello di Riccardo Malpica, l’ex direttore dei servizi segreti del Sisde. Malpica disse che Scalfaro negli anni in cui era stato ministro dell’Interno dal 1983 al 1987 aveva percepito cento milioni di lire al mese dai fondi riservati del servizio segreto civile. Scalfaro in quel discorso parlò di “gioco al massacro” e denunciò come quelle accuse fossero una “rappresaglia” della classe politica travolta da Tangentopoli.

Ben più loquace fu il suo predecessore Francesco Cossiga – perlomeno nelle fasi finali della sua presidenza. L’unico messaggio a reti unificate del “picconatore”, tuttavia, fu il 25 aprile del 1992, alle 18,38, nel pieno della bufera di Tangentopoli, e poco dopo le elezioni terremoto del 3 di aprile, le ultime della Prima Repubblica. "Ho preso la decisione di dimettermi da Presidente della Repubblica, spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica”, disse Cossiga, che in 45 minuti di discorso fiume – dopo che il 31 dicembre 1991 batté il record del messaggio più corto di sempre, soli 3 minuti. Nessuno sapeva allora che meno di un mese dopo Giovanni Falcone sarebbe saltato in aria insieme alla sua scorta, a Capaci, proprio mentre si stava eleggendo il successore di Cossiga.

Prima di Cossiga, anche Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani, parlò alla Nazione. Lo fece il 27 settembre del 1980, quarant'anni fa, dopo essere tornato dalle terre devastate dal terremoto dell’Irpinia: “A tutte le italiane e gli italiani: qui non c'entra la politica, qui c'entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi". Un discorso che suona attuale ancora oggi. E che anche in tempi di Coronavirus, conserva tutta la sua verità.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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