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Elezioni politiche 2022

Dal guanciale al benaltrismo: come difendersi dalle fallacie logiche in campagna elettorale

A meno di un mese dalle elezioni, è il caso di imparare a conoscere e riconoscere i principali stratagemmi retorici utilizzati dai diversi partiti e candidati.
A cura di Roberta Covelli
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L’ultimo esempio, in ordine di tempo, riguarda i manifesti del Partito Democratico. Lo slogan "Scegli" si applica a due sole opzioni, con Putin o con l’Europa, discriminazioni o diritti: dicotomie che però sono semplificazioni, fallacie logiche. Quello della comunicazione odierna del PD è un esempio talmente lampante di trucco retorico da essere pubblicato quasi in contemporanea alla sua parodia, con Enrico Letta che riposta la stessa grafica usata, però, per scegliere tra pancetta o guanciale nella carbonara.

Ma non sempre le fallacie logiche sono così semplici da riconoscere. Ecco allora l’illustrazione dei principali stratagemmi retorici utilizzati nel dibattito politico, così da avere qualche speranza di difendersi da questi trucchi in campagna elettorale.

La polarizzazione della falsa dicotomia

Quella usata nelle grafiche del PD, rosse e nere a ribadire la differenza con la destra, è una falsa dicotomia, una fallacia con cui si presentano due soluzioni come se fossero le uniche possibili, tra loro alternative, omettendo sfumature e opzioni ulteriori. Si tratta di uno stratagemma che avevamo già incontrato con l’aut aut banalizzante di Draghi in conferenza stampa sulla guerra in Ucraina ("Preferisce la pace o il condizionatore d’aria acceso?" chiedeva retoricamente).

Più in generale, la falsa dicotomia si può applicare ai temi (il ricatto occupazionale tra lavoro o salute, ad esempio, si basa proprio su questo) oppure agli schieramenti, in chiave personalistica: "o con noi o contro di noi", nelle sue varie versioni, è una semplificazione dello scenario politico che polarizza la realtà e che impedisce, in campagna elettorale ma soprattutto nella normale dialettica politica, il confronto e l’analisi delle diverse parti coinvolte.

Le allusioni che avvelenano il pozzo

Questa polarizzazione è poi spesso aggravata da un modo ambiguo, velato, di affrontare il dibattito. L’avvelenamento del pozzo è una fallacia spesso utilizzata per delegittimare gli avversari, alludendo alla loro malafede: in questo modo, qualunque argomento venga sostenuto, sarà sempre accompagnato dal sospetto, dall’idea che il fine sia occulto. Questo non significa che non si possano denunciare gli interessi e le incoerenze che accompagnano molte promesse politiche: contestualizzare un argomento non implica per forza usare una fallacia logica. La fallacia consiste piuttosto nel meccanismo dell’allusione e nel suo effetto "a priori", cioè slegato dalla pertinenza dell’obiezione sull’argomento: denunciare il conflitto di interessi di qualcuno è una (più che legittima) contestualizzazione, alludere in maniera pretestuosa a fini occulti non meglio specificati è invece avvelenamento del pozzo.

Si usa questa fallacia anche (se non soprattutto) nei confronti dei giornalisti o di chi esprime un’opinione: le varie declinazioni della domanda retorica "chi vi paga?" non sono altro che un’allusione furbesca alla malafede altrui, che sposta l’attenzione dall’argomento alla persona che lo sostiene.

L’attacco alla persona per sviare dall’argomento

Sviare il discorso dai contenuti a chi li presenta è un metodo tanto diffuso quanto deleterio per la qualità del dibattito. L’argumentum ad personam consiste proprio nello spostamento dell’attenzione sull’individuo che sostiene una determinata tesi: lasciando l’argomento sullo sfondo, si delegittima l’altra persona. C’è anche un modo grafico di rappresentare questa fallacia: quando vediamo un esponente politico rappresentato in pose ridicole, fotografato con uno sguardo particolare, stiamo spesso assistendo a un tentativo di squalificare indirettamente gli argomenti altrui, rappresentando chi li sostiene in maniera negativa.

Non sempre questa fallacia si usa per delegittimare, ma al contrario può essere usata per la ricerca del consenso: la personalizzazione delle candidature, peraltro in un sistema istituzionale parlamentare (e non presidenziale) come il nostro, svia dal merito delle proposte e dai programmi elettorali di partiti e coalizioni. Quanti intendono votare Meloni, Berlusconi, Salvini, Conte o De Magistris, basando il proprio consenso sull’individuo invece che sulle azioni politiche proposte?

E allora i problemi che sono ben altri?!

Un modo più sottile di sviare dal merito, di deviare il discorso consiste nel benaltrismo. Al di fuori della campagna elettorale, nella dialettica parlamentare, è spesso applicato ai temi. Un esempio perfetto di questa fallacia fu questa dichiarazione di Di Maio, riassunta e twittata all’epoca dall’account del Movimento 5 Stelle:

La riforma della legge sulla cittadinanza (con lo ius soli o con lo ius scholae) è una grande vittima di questa fallacia. Tramite il benaltrismo, ignorando che le istituzioni politiche possono occuparsi contemporaneamente di più questioni, si pongono in classifica diversi argomenti, per lasciare sullo sfondo quello che non si vuole affrontare. Furbescamente, peraltro, non si entra nemmeno nel merito: non ci si schiera sul contenuto, non si afferma la propria contrarietà al tema, ma ci si limita a mettere in ordine le priorità.

In campagna elettorale, il benaltrismo si applica più spesso nel deviare l’attenzione sugli altri schieramenti. Se si critica un candidato o un partito, sarà puntuale l’obiezione "e allora gli altri?", così spostando la questione e non affrontando il discorso nel merito.

Aringhe rosse e fantocci di paglia

Tra le strategie di deviazione dell’attenzione ce ne sono altre due che meritano di essere illustrate. La prima è diffusissima ed è l’argomento fantoccio (strawman argument, in inglese): consiste nel confutare l’argomentazione altrui presentandola in maniera distorta o esagerata. In questo modo, è più semplice attaccare la tesi altrui, proprio perché è più debole (ma diversa dall’originale). Ad esempio, quando Matteo Salvini sostiene che "una sinistra che parla del diritto di drogarsi non ha il diritto di governare", sintetizza in maniera distorta, con la fallacia dell'argomento fantoccio, la proposta degli avversari (che riguarda invece la coltivazione di cannabis per uso personale, in ottica di contrasto alla criminalità organizzata e per garantire l'accesso alla cannabis terapeutica).

La seconda fallacia è più complessa ma comunque molto diffusa. Si definisce in latino come ignoratio elenchi e in inglese come red herring, aringa rossa, dalla prassi di usare, nell’allenamento dei cani per la caccia alla volpe, false piste attraverso aringhe non più fresche (quindi rossastre e con un odore forte) per depistare il fiuto dei cani. Nella retorica, questa fallacia consiste nel concludere il discorso con un’affermazione irrilevante rispetto al ragionamento, con un effetto fuorviante della discussione. Ad esempio, questa dichiarazione di Renzi, postata sul suo profilo è un esempio di ignoratio elenchi su più livelli.

Il senatore passa dalla situazione dell’Afghanistan e dalle tensioni a Taiwan a un indefinito appello al futuro con la critica a presidenzialismo e flat tax proposte dalla destra, chiudendo l’intervento con l’invito a votare con la testa invece che con la pancia, dribblando i rapporti logici tra i diversi piani del suo discorso.

Questioni complesse e salti logici nel Nirvana

La confusione di temi è un grande classico della propaganda di moltissimi esponenti politici. Molto spesso, questa miscela di argomenti non è un semplice disordine concettuale, ma una vera e propria strategia fallace, nel momento in cui è funzionale all’affermazione implicita di una tesi. È il caso della questione complessa, una fallacia pseudodeduttiva in cui si congiungono in maniera indebita diversi enunciati: ad esempio, si usa questa fallacia quando si inserisce nel concetto di difesa il potere di ciascuno di usare violenza o armi, perché si accosta a un diritto legittimo, quello alla propria sicurezza, una modalità di azione che non rientra automaticamente in quel diritto, ma che è legittima solo a particolari condizioni.

La questione complessa, insomma, nasconde il filo logico del discorso. Sullo stesso trucco si fonda un’altra fallacia, ancor più diffusa, detta del non sequitur: consiste nell’affermazione di un erroneo rapporto causale, o nell’ipotesi di una causa falsa rispetto all’effetto o confondendo correlazione e causalità. Una materia in cui questa fallacia è spesso usata è la politica fiscale proposta dalla destra: la flat tax (che nel merito ha già i suoi difetti) presenta infatti dei problemi anche logici. Si tratta di un sistema che conviene di più ai ricchi e che applica una dottrina economica detta trickle-down, in base alla quale si teorizza che la maggior ricchezza delle classi abbienti ricadrebbe positivamente sulla società intera: si afferma quindi arbitrariamente un (inesistente) rapporto di causalità tra il benessere dei più abbienti e la ricchezza generale.

Tra l’altro, nell’ormai quasi trentennale promessa berlusconiana del "meno tasse per tutti", si ritrova un ulteriore trucco: la fallacia del Nirvana. Tramite questo stratagemma, si confronta la realtà attuale con uno scenario idealistico, omettendo cioè la complessità delle questioni: ad esempio, nel caso della politica tributaria, il fatto che, a un minor gettito fiscale, consegua una riduzione della spesa pubblica, che, al netto degli sprechi, è impiegata per garantire alle persone servizi pubblici. Nella visione della campagna elettorale di moltissimi partiti e candidati, si ritrovano insomma grandi promesse che non hanno alcuna attinenza con la realtà, perché si confrontano con uno scenario perfetto (in cui si pagano meno tasse, ma si hanno servizi gratuiti e di qualità), ma irreale, irrealizzabile e irrealistico.

Statistiche, dati e ciliegie

Una fallacia è anche l’omissione di dati determinanti, attraverso cui plasmare l’opinione di chi legge l’analisi. Un esempio? Giorgia Meloni raccoglie una serie di statistiche negative in una card intitolata "I dati del disastro PD al governo", con l’indicazione di un intervallo di date: 2011-2021. Il titolo e il riferimento temporale mostrano però una scorrettezza: si lascia intendere che il Partito Democratico abbia governato da solo per un decennio, ignorando sia la parentesi del governo gialloverde, sia il campo largo dei diversi esecutivi succedutisi in precedenza, dal governo Monti al governo Draghi, passando per Letta, Renzi e Gentiloni, tutti esecutivi sostenuti da esponenti e partiti di centrodestra: per cinque anni di questo decennio Forza Italia era nella maggioranza di governo, per due anni e mezzo lo è stata la Lega, eppure le statistiche indicano il PD come unico responsabile del governo e dei dati negativi.

Si tratta di una forma complessa della fallacia detta cherry picking, il cui nome inglese richiama la raccolta di ciliegie, intesa come la selezione dei soli dati che confermino la propria tesi. Come per molte fallacie, anche in questo caso ci si trova di fronte a un gioco di prestigio per deviare l’attenzione, per distrarre chi legge o ascolta, facendo sparire ogni elemento di disturbo, inteso come ogni dato o informazione che possa smentire o porre in dubbio la propria tesi. In aggiunta, il trucco lascia presupporre che si stia veramente argomentando: si appare competenti, disponibili a fornire prove di quel che si afferma, dati precisi, quando invece quel che si sta proponendo nel discorso non è altro che una selezione delle informazioni intellettualmente disonesta. Ovviamente è naturale che ciascuno valorizzi i dati a proprio favore, diverso è però omettere informazioni determinanti per la visione corretta dell’argomento che si affronta.

L’uso fallace dei dati, seppur non per forza in malafede ma spesso soltanto per semplificazioni eccessive, emerge talora anche dai sondaggi. Nella rappresentazione grafica delle previsioni di voto ci si trova spesso di fronte a scenari differenti, a seconda che i dati riguardino i singoli partiti o che comprendano le coalizioni. O, ancora, la maggior parte dei sondaggi indica le percentuali elettorali previste, dando quindi una visione proporzionale del possibile esito del voto, ignorando così le peculiarità (e le distorsioni) del Rosatellum, la legge elettorale vigente.

Sovranità, popolo e ragione

I sondaggi, peraltro, rischiano di condizionare le intenzioni di voto dell’elettorato (e in effetti, proprio per questo, esistono regole sulla pubblicazione di previsioni nell’imminenza dell’appuntamento elettorale). Invece di valutare le proprie preferenze ed esprimere il proprio voto "personale ed eguale, libero e segreto", si vota per chi (s’immagina, in base ai sondaggi) possa ottenere più voti. Si rinuncia così all’analisi e alla scelta, favorendo di fatto l’assegnazione di potere (e ragioni) in base a una visione maggioritaria della realtà politica.

In sé, in scelte simili, non c’è nulla di illegittimo, né di fallace, anche se leggi elettorali migliori, con maggior attenzione alla rappresentatività, potrebbero garantire una più genuina espressione del voto da parte della cittadinanza. Tuttavia, sottesa a questo ragionamento, c’è spesso una fallacia, spesso alimentata soprattutto da quelle forze politiche che già pregustano la vittoria, ossia l’argumentum ad judicium o argumentum ad populum. Attraverso questa fallacia, si sostiene che una posizione sia valida per il solo fatto che sia sostenuta da molte persone. Per chiarire i risvolti di questo inciampo logico sulla nostra realtà politica non basterebbe un articolo, ma proprio su questo deve chiudersi questo tentativo, ridotto eppure già lungo, di autodifesa dai trucchi che ingannano la nostra ragione.

La pericolosità di questa fallacia non è solo di forma ma anche di sostanza. Nella sostanza, se è vero che chi ottiene il maggior consenso ha il diritto e il potere di governare, è anche vero che governo e comando non sono sinonimi e che la democrazia non è, né può essere, la dittatura della maggioranza.

Sulla forma, sulla logica del discorso, è sufficiente dire che la maggioranza non per forza ha ragione, così come la minoranza non ha automaticamente torto: per evitare riferimenti politici, basti pensare alla storia scientifica, in cui il progresso della conoscenza è spesso derivato dalla capacità di una minoranza di dimostrare le proprie ragioni, spesso dovendosi confrontare con fallacie logiche, trucchi dialettici e stratagemmi retorici che dovremmo impegnarci a conoscere ed evitare.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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