"Sono vicino a Giorgia, mi dispiace per come sono andate le cose". Con queste parole, affidate al nuovo libro di Bruno Vespa, Piersilvio Berlusconi ha commentato quella che è stata senza dubbio una fra le principali vicende politiche delle ultime settimane. Si è scritto tanto del caso Giambruno, in effetti, soprattutto dopo la decisione di Giorgia Meloni di interrompere la loro relazione con un criptico messaggio sui propri social network. La vicenda è particolarmente interessante perché è il risultato della sovrapposizione di più livelli: quello personale, politico, giornalistico e finanche istituzionale. L’ormai ex conduttore di Diario del Giorno ha avuto un ruolo solo apparentemente secondario nel racconto pubblico del primo anno a Palazzo Chigi della leader di Fratelli d’Italia. La sua sovraesposizione è servita a un certo racconto di Meloni e del suo percorso, come testimoniano le copertine dei tabloid e gli approfondimenti giornalistici che ne sono seguiti. Da volto di uno dei tanti programmi di Mediaset funzionali al “nuovo corso” della destra al governo, Giambruno ha contribuito al tentativo di definire un nuovo immaginario collettivo, spingendo su particolari topic e aiutando la penetrazione di specifiche keyword. Ma ha anche gestito la sua posizione con disarmante leggerezza, mettendo più volte in crisi il posizionamento della Presidente del Consiglio su temi controversi o delicati.
Non sappiamo se quella di non delimitare nettamente sfera pubblica e privata sia stata una scelta consapevole, possiamo però convenire che sia stata produttiva ed efficace sul piano comunicativo solo fino a un certo punto. Così come non sappiamo in che modo questa storia si sia intrecciata col livello politico, il vero buco nero di ogni ricostruzione dell’affaire Giambruno – Meloni.
Erano in molti a pensare che la centralità acquisita da Giambruno in Mediaset costituisse un’anomalia nel rapporto fra Meloni e la famiglia Berlusconi. Tante indiscrezioni e diversi retroscena di questi giorni raccontano di contatti intensi fra i peones di Fratelli d’Italia e Forza Italia prima dell’uscita del secondo blocco di fuorionda di Striscia La Notizia, lasciando intendere che la questione fosse ormai al centro del dibattito politico interno alla maggioranza. Anche tralasciando le ricostruzioni sulle tempistiche e le modalità della diffusione dei video, schivando le narrazioni complottiste e non mettendo in dubbio la versione di Striscia (del resto uno dei pochi contenitori ad avere la forza di reperire, diffondere e gestire video di questo tipo), è chiaro che, per come si è definito e sviluppato, il caso Giambruno deve essere inserito all’interno dello scontro in atto da tempo fra Forza Italia e Fratelli d’Italia. O meglio, fra una parte di Forza Italia e il cerchio dei fedelissimi della presidente del Consiglio.
Certo, Meloni assicura di sentire Tajani tutte le mattine e di farsi grasse risate nel leggere le ricostruzioni su dissidi e litigi all'interno della maggioranza. È possibile che ciò avvenga, ma sul piano politico le cose sono assai più complicate. Vale la pena di ricordare, infatti, che i “problemi” tra i due soggetti non nascono adesso e che gli ultimi anni forniscono un’ampia bibliografia di piccoli e grandi conflitti, più o meno noti all’opinione pubblica. La stessa formazione del governo ha risentito dei rapporti non proprio distesi tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, per non parlare dei mal di pancia forzisti durante la “stagione delle nomine” o dello stillicidio di dichiarazioni e spin che sta accompagnando la gestazione dell'ultima legge di bilancio. Meloni non dubita di Tajani, che anzi le fa da cuscinetto con l'altro vicepresidente del Consiglio. Ma non può essere la sola a garantire per lui, men che meno all'interno del suo partito.
C'è, in effetti, una questione di fondo, che va in qualche modo oltre la cronaca quotidiana. E riguarda l'esistenza stessa di Forza Italia. Con il lento disimpegno della famiglia Berlusconi, il partito non solo perde la sua ragion d'essere, ma si trova esposto a problematiche fin qui mai sperimentate. La sostenibilità economica, prima di tutto, è un vero problema, come mostrato anche dall'ultima inchiesta di Report. L'attrattività del progetto sul piano del consenso elettorale sembra essere prossima allo zero, con sondaggi per nulla incoraggianti. La collocazione politica è problematica, perché in un campo fin troppo affollato di leader e poco di elettori. Un'altra tara è poi rappresentata dalla presenza di una classe dirigente divisa e lacerata da anni di gestione personalistica del potere da parte di Berlusconi: ci sono resoconti di una vera e propria guerra tra bande, che il coordinatore subisce, più che moderare.
Tajani, del resto, ha la necessità di recuperare spazi di agibilità politica prima di tutto per sé, poi per il partito, senza rompere il delicatissimo equilibrio con la famiglia Berlusconi. Si è ritagliato un ruolo di mediatore e ha pronta un'exit strategy personale con destinazione Europa, come commissario italiano del nuovo corso. Ma il ruolo di unico collante col governo comincia a essere complicato da gestire. La tassa sugli extraprofitti e il tetto pubblicitario della Rai sono casi di studio particolarmente interessanti, perché mostrano come la tensione fra le diverse "fazioni" possa crescere da un momento all'altro e lasciano presagire anche come avverrà lo scontro.
Le Elezioni Europee sono uno snodo cruciale, evidentemente. Forza Italia si prepara alla prima vera campagna elettorale senza Silvio Berlusconi, con la consapevolezza che sarà una vera corsa a ostacoli. In un momento in cui Salvini sta definendo una nuova collocazione per la Lega e Meloni sta strutturando pesantemente il partito al fine di consolidarne il consenso, Forza Italia si candida al ruolo di anello debole e rischia lo sfarinamento politico ed elettorale. Invertire la rotta sembra piuttosto complesso, perché se è vero che il campo centrista avrebbe bisogno di un collettore unico che riunisca le diverse anime, allo stesso tempo è chiaro a tutti che non si stia parlando di Forza Italia. Che sembra piuttosto l'ennesima bad company centrista o della destra liberale italiana. Paradossalmente, però, il disfacimento di Forza Italia potrebbe essere un problema serio per Meloni, non solo in termini di equilibri con la Lega e dunque di ripercussioni interne alla maggioranza.
Il punto è che un campo così frammentato, come quello centrista e della destra liberale e moderata, è anche un'opportunità perché emergano nuovi leader o nascano soggetti politici con un orizzonte più ampio. Dopo le Europee, quando nel campo centrista non resteranno che cocci sparsi sotto il 4%, qualcosa potrebbe accadere. E ancora una volta, tutte le strade sembrerebbero portare a Milano. Sacrificando Forza Italia, in nome di un progetto più ambizioso, ma con lo stesso cognome di sempre.